La Gran Bretagna esce dall’Europa, la Repubbica Ceca sgancia la moneta dall’euro, la Danimarca sta pensando di fare altrettanto, i partiti politici e i movimenti favorevoli all’uscita dall’euro sono numerosi in molti paesi del Vecchio Continente (a partire dal Front National di Marine Le Pen, candidata alle elezioni presidenziali francesi). La costruzione europea vive un momento difficile, la crisi del debito degli anni scorsi si trasferisce alla politica, e l’ipotesi dell’uscita dall’euro, anche in Italia, viene comunque presa in considerazione dai report economici e finanziari. Mediobanca stima che un’eventuale Italexit costerebbe 71 miliardi solo per effetto della ridenominazione dei titoli di stato (senza considerare una lunga serie di altri costi, fra cui i 357 miliardi da rimborsare alla BCE).
=> Uscire dall’euro: operazione indolore?
Ma al di là dei calcoli finanziari (complessi, per non dire impossibili vista la difficile quantificazione dell’impatto su investimenti, borse, ciclo economico, e via dicendo), ci sono una serie di considerazioni che gli analisti politici ed economici propongono, anche in risposta alle istanze che, lo ripetiamo, arrivano dal mondo della politica e dalla società civile.
Il Financial Times, ipotizzando l’eventuale uscita dalla moneta unica di Italia e Francia (basato sulle istanze portate avanti nei due paesi rispettivamente da Movimento 5 Stelle e Front National), descrive prospettive catastrofiche: «Se uno dei due paesi lasciasse la moneta unica, si assisterebbe al default più grande della storia dell’uomo. Ci sarebbero crisi bancarie in tutta l’Unione europea. Il blocco farebbe fatica a rimanere unito.
L’euro stesso verrebbe minacciato. Un’eventuale uscita dell’euro si dimostrerebbe complicata e piena di rischi così come lo sarebbe iniziare una guerra. Bisognerebbe mettere in sicurezza i propri confini per impedire alla gente di portare la liquidità in euro al di fuori del paese. Bisognerebbe ricorrere alla polizia per sedare le proteste». Se lo scenario descritto sul fronte dell’ordine pubblico sembra un un po’ apocalittico, quello finanziario potrebbe invece essere sottovalutato, in particolare per quanto riguarda l’impatto sul futuro della moneta unica. Più che minacciato, l’euro probabilmente riceverebbe il colpo definitivo. E’ un po’ il famoso concetto del “too big too fail” applicato, ormai quasi dieci anni fa, alla crisi finanziaria provocata dal fallimento di Lehman Brothers. Non sapremo mai se la crisi sarebbe stata migliore o peggiore salvando la banca d’affari americana. E’ probabilmente più facile prevedere invece che l’uscita di un paese come la Francia o l’Italia non sarebbe sostenibile dall’Eurozona.
Quindi, fra i tanti scenari che in questi giorni, e in questi mesi, analisti e addetti ai lavori stanno analizzando, bisognerebbe comprendere quello che vede un’eventuale uscita dall’euro di uno dei paesi fondatori come la fine della moneta unica, quindi della Banca Centrale Europea, quindi probabilmente dell’intera costruzione comunitaria, anche sul fronte politico. Scenario apocalittico anche questo, in effetti, ma con ogni probabilità non da escludere.
Seconda ipotesi: l’Italia esce dall’euro, non viene seguita da altri paesi, la moneta unica riceve un grosso scossone ma resiste. In questo caso, le conseguenze sarebbero tutte sulla Penisola. Le argomentazioni a favore dell’Italiaexit: potremmo riprendere a fare politica monetaria, le esportazioni trarrebbero vantaggio dall’uscita da una delle monete più forti del mondo, le politiche economiche sarebbero sganciate dall’Europa e dai troppo rigidi parametri imposti sul fronte del risanamento e non solo.
Partiamo dal punto relativo all’economia reale: le esportazioni. Certo, una moneta più debole le avvantaggerebbe. Ma non sembra che siano le esportazioni il problema numero uno dell’economia reale italiana. Anzi, sono fra le poche voci ad essere state positive anche negli anni di crisi. Il problema sono la produttività e il mercato interno. L’Italia produce di meno, ha perso quote sui mercati internazionali, e non solo, su quello che era uno dei suoi punti di forza, ovvero l’industria manifatturiera (ad alto tasso di PMI). Ed è poco produttiva anche su altri fronti (i servizi, il turismo). Davvero il Made in Italy, per usare un’espressione molto comune, trarrebbe vantaggio dall’uscita dall’euro? Far parte di un mercato (quello europeo) che è fra i primi del mondo, non potrebbe essere un vantaggio? .
E’ sicuramente vero che la sovranità in materia di politica economica e monetaria tornerebbe a Roma, ma dare per scontato che questo sarebbe un vantaggio è un altro paio di maniche. Proseguendo con il ragionamento di cui sopra, non sarebbe forse più conveniente mettere insieme tutti gli elementi del puzzle e arrivare a quella che è forse la soluzione più semplice, per non dire lapalissiana: invece che uscire dall’euro, perché non risolviamo i problemi che (indubitabilmente) nell’euro ci sono? Per esempio, dando alla Banca Centrale Europea i poteri che hanno tutte le altre banche centrali del mondo (prestare soldi agli stati)? Forse, così, risolviamo il problema della sovranità monetaria (azzoppata a Francoforte, non a Roma), e continuiamo a restare parte di quella che potenzialmente è la prima potenza economica del mondo. In fondo, i competitori, Cina e USA, hanno economie che viaggiano più velocemente, ma anche problemi strutturali da risolvere che l’Europa, invece, non ha: sostenibilità ambientale e sociale in primis.