Sarah Palin usava un indirizzo email personale: ecco le prove

di Gianluca Rini

Pubblicato 22 Settembre 2008
Aggiornato 12 Febbraio 2018 20:49

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La campagna elettorale, si sa, è fatta anche di sospetti e indiscrezioni abbastanza pesanti sul comportamento dei candidati, che sono letteralmente tenuti sotto controllo 24 ore su 24 dall’intera Nazione alla ricerca del più piccolo e apparentemente insignificante errore o svista.

È quello che è successo qualche giorno fa a Sarah Palin, candidata alla vice presidenza della Casa Bianca, quando qualcuno ha sospettato che la signora usasse il suo indirizzo email personale, una semplice casella email creata con yahoo.com, per spedire, ricevere e organizzare messaggi di posta elettronica a scopo governativo e lavorativo.

Apparentemente non ci sarebbe nulla di male, se non che la trasparenza amministrativa di un Paese come gli Stati Uniti sia un valore determinante nella corsa verso la Casa Bianca. Delle mail inviate e gestite attraverso un indirizzo che non è quello governativo non possono essere registrate negli anni successivi negli archivi di Stato. E se quindi la candidata avesse qualcosa da nascondere?

Un gruppo di attivisti anonimi ha cercato di trovare la risposta a questa domanda, forse col metodo più semplice. Si sono intrufolati, illegalmente, violando le protezioni, all’interno della casella mail della Palin e hanno recuperato tutti i messaggi di posta presenti nella casella, compresa una mail che sarebbe stata inviata al governatore della California Schwarzenegger, mail da parte o inviate a collaboratori che hanno un indirizzo governativo e documenti relativi agli abusi di potere per il quale la Palin è indagata.

Tutto questo è stato in seguito pubblicato su un sito, Wikileaks, con l’esplicito invito a diffondere il pacchetto per dimostrare che la Palin ha veramente utilizzato il suo account di posta personale per attività lavorative.

Probabilmente adesso la repubblicana Palin si sarà resa conto dell’errore. Ed è inutile dire che è stata già sporta denuncia contro gli autori dell’attacco, per “invasione della privacy“, che però non sono ancora stati trovati. E intanto si è mobilitato anche l’FBI. Sorge una domanda abbastanza complicata: a volte violare la sicurezza informatica può far cambiare la storia?