La legge 2012 che impone alle casse professionali di previdenza di versare all’Erario parte dei risparmi da spending review è illegittima, perché sottrae agli istituti risorse destinate alla pensione dei professionisti: lo stabilisce la Corte Costituzionale, che boccia il prelievo e ritiene la norma di cui all’articolo 8, comma 3, dl 95/2012 irragionevole, incauta e a sfavore dei diritti degli iscritti. Si tratta della sentenza 7/2017, che la Consulta ha depositato l’11 gennaio 2017.
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In particolare, la Corte ha dichiarato illegittimo il testo di legge «nella parte in cui prevede che le somme derivanti dalle riduzioni di spesa ivi previste siano versate annualmente dalla Cassa nazionale di previdenza ed assistenza per i dottori commercialisti ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato».
Il caso di legittimità è stato sollevato in un procedimento relativo alla CNPADC, la cassa di previdenza dei commercialisti. La norma discussa, in ottica spending review, stabilisce che le casse dei professionisti debbano adottare «interventi di razionalizzazione per la riduzione della spesa per consumi intermedi in modo da assicurare risparmi» del 5% nel 2012 e del 10% dal 2013 in poi, con il versamento delle somme derivanti da tale riduzione al Bilancio dello Stato entro il 30 giugno di ciascun anno.
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La Corte ha stabilito l’illegittimità della norma nella seconda parte, che impone il versamento allo stato, perché «non è conforme né al canone della ragionevolezza, né alla tutela dei diritti degli iscritti alla Cassa, garantita dall’articolo 38 Costituzione, né al buon andamento della gestione amministrativa della medesima».
Sotto il profilo della ragionevolezza, l’articolo 3 della Costituzione «risulta violato per l’incongrua scelta di sacrificare l’interesse istituzionale della CNPADC ad un generico e macroeconomicamente esiguo impiego nel bilancio statale», con un sacrificio che non risulta ragionevole nella ponderazione delle due finalità (assicurare nel tempo le prestazioni previdenziali degli iscritti da una parte, una generica copertura di spesa dello stato dall’altra).
Fra l’altro, «se, in astratto, non può essere disconosciuta la possibilità per lo Stato di disporre, in un particolare momento di crisi economica, un prelievo eccezionale anche nei confronti degli enti che – come la CNPADC – sostanzialmente si autofinanziano attraverso i contributi dei propri iscritti, non è invece conforme a Costituzione articolare la norma nel senso di un prelievo strutturale e continuativo nei riguardi di un ente caratterizzato da funzioni previdenziali e assistenziali sottoposte al rigido principio dell’equilibrio tra risorse versate dagli iscritti e prestazioni rese».
La prima parte della norma, che prevede gli interventi di razionalizzazione degli enti previdenziali, salvaguarda il buon funzionamento dell’ente ed è quindi legittima, mentre la seconda parte viola sia la tutela dei diritti degli iscritti, sia il buon andamento della gestione (articolo 97 della Costituzione) perché aggredisce strutturalmente «la correlazione contributi-prestazioni, nell’ambito della quale si articola «la naturale missione» della CNPADC di preservare l’autosufficienza del proprio sistema previdenziale».
Corte Costituzionale