Il Governo ragiona su una possibile revisione dei voucher lavoro, strumento fortemente criticato da più fronti che finora non ha prodotto i risultati sperati, in termini di occupazione e contrasto al lavoro nero, almeno secondo l’analisi effettuata dall’Esecutivo sulla base del monitoraggio sulla tracciabilità introdotta dal correttivo al Jobs Act.
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Una revisione orientata, spiega in Senato il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, a riportare i buoni lavoro ad essere uno strumento volto ad eliminare il problema del lavoro nero con particolare riferimento ai lavori occasionali.
Dunque, secondo le anticipazioni di Poletti, sarebbe prossimo l’arrivo in Senato del provvedimento sui buoni per il lavoro accessorio volto in particolare a ridurre:
- i tempi di incasso del rimborso per i datori di lavoro da 1 anno a 6-3 mesi, così da rendere più tempestivi i controlli sugli abusi delle aziende;
- il tetto dei compensi per i lavoratori portandolo dagli attuali 7mila a 5mila euro l’anno;
- i settori in cui si possono usare i voucher.
Possibile anche l’arrivo di un divieto di utilizzo dei voucher per i lavoratori contrattualizzati, così da arginare il fenomeno dei datori di lavoro che utilizzano i buoni lavoro per pagare gli straordinari dei dipendenti stabili.
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E mentre dalla Corte Costituzionale l’approvazione sul referendum proposto dalla CGIL sull’abolizione dei voucher lavoro, dalla CGIA Mestre arriva l’invito a non demonizzare i voucher per il lavoro occasionale e accessorio, soprattutto visto che nel 2015, ultimo dato disponibile, l’incidenza delle ore lavorate con i voucher è stata pari ad appena lo 0,31% del monte ore complessivo nazionale del lavoro dipendente pari a 29 miliardi di ore.
In totale sono state 1,3 milioni di persone impiegate con i voucher per un numero di buoni-lavoro riscossi pari a 88 milioni, contro i poco più di 115 milioni di buoni lavoro venduti. Stando ai dati ISTAT, gli 88 milioni di voucher riscossi corrispondono a circa 47.000 lavoratori annui, che rappresentano solo lo 0,23% del costo del lavoro presente in Italia.
In generale questo strumento è più utilizzato nel Nordest (0,47% del monte ore complessivo lavorato), rispetto al Centro (0,25%) e al Mezzogiorno (0,21%). Per il 2016 i dati non sono ancora noti, anche se si è registrato un aumento del +34,6% sul 2015.
Nonostante il coordinatore dell’Ufficio Studi della CGIA Mestre, Paolo Zabeo, l’obiettivo di far emergere i piccoli lavori in nero non sia stato fino a ora raggiunto:
Se in alcuni settori è evidente che c’è stato un utilizzo del tutto ingiustificato di questo strumento, paradossalmente il fallimento dei voucher non è ascrivibile al loro abuso, ma, al contrario, per essere stati utilizzati pochissimo in particolar modo al Sud, dove la disoccupazione è molto elevata e l’abusivismo e il sommerso hanno dimensioni molto preoccupanti. Eliminarli, quindi, sarebbe un errore.
Vanno, invece, incentivati, limitandone l’utilizzo nei settori ad alto rischio infortunistico: come l’edilizia, i trasporti, il metalmeccanico e il legno.
Il segretario della CGIA, Renato Mason, aggiunge:
In attesa di conoscere i dati relativi agli effetti registrati dopo l’introduzione della tracciabilità prima di riformare questo strumento è indispensabile che la politica adotti un sistema di rilevazione serio in grado di fotografare correttamente questa realtà. I risultati di questa nostra analisi sono nettamente in contrasto con le tesi sostenute da molti addetti ai lavori che vorrebbero eliminare definitivamente i voucher. Posizioni, purtroppo, che si basano su pregiudizi di carattere ideologico che con la realtà evidenziata dai numeri hanno poco a che fare.