La cedolare secca è un’opzione che si può applicare su differenti tipi di contratti di locazione per immobili ad uso abitativo e, viene applicata con aliquote differenti a seconda del tipo di contratto stipulato. È, inoltre, una tassa cosiddetta forfettaria poiché va a sostituire le differenti imposizioni fiscali che si attuano normalmente, quindi, per poterla applicare è necessario rispettare i requisiti stabiliti dal legislatore. Nel caso esposto, il problema principale non è l’applicazione in sé della cedolare ma piuttosto capire qual è la corretta aliquota da applicare tra le due esistenti:
- al 21% per contratti stipulati a canone libero;
- al 10% per contratti a canone concordato.
Il canone concordato, fino al 15 marzo 2017, aveva una ulteriore restrizione: richiedeva un accordo tra il Comune e le associazioni (sindacati) di categoria (inquilini e proprietari immobiliari), per effettuare il quale doveva essere riconosciuto tra quelli ad alta intensità abitativa ed inserito nella lista ufficiale del CIPE.
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Lei dunque è ricaduto nella vecchia normativa (DM 30/12/2002), mentre con quella attuale (DM 16/01/2017) il contratto a canone concordato 3+2 prevede l’estensione a tutti i Comuni italiani della disciplina in oggetto, senza più limitazioni. Inoltre, sono state aggiornate le linee guida per la definizione degli accordi territoriali ed è stato aggiornato il modello di contratto.
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Nel suo caso, per uscire dall’impasse, fino allo scorso marzo l’unica soluzione sarebbe stata riemettere il contratto di locazione a mercato libero optando lo stesso per la cedolare secca ma con un’aliquota agevolata al 21%. Ad oggi, invece, può stipulare un nuovo contratto senza limitazioni.
Greta Rosatelli, Esperto Fiscalista
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