Con la sentenza 22909/2016 la Corte di Cassazione ha chiarito che sulla base del principio generale della libera determinazione convenzionale del canone di locazione per gli immobili destinati ad uso non abitativo, deve ritenersi legittima la clausola in cui venga pattuita la determinazione del canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell’arco del rapporto.
Il caso in esame riguardava un contenzioso sorto tra un locatore e una società che aveva sottoscritto un contratto di locazione ad uso diverso da quello abitativo ed era stata poi condannata dal tribunale di Bologna allo sfratto per morosità. La società aveva quindi sanato integralmente la morosità contestata, per poi presentare al locatore richiesta di rimborso delle somme versate in eccesso a titolo di canone, ritenendo non legittima la clausola contrattuale che prevedeva una modulazione crescente, nel tempo, del canone. Tale richiesta era stata prima accolta dal tribunale di Bologna e poi respinta dalla Corte di Appello.
In ultimo la Corte di Cassazione ha condiviso l’interpretazione della Corte di Appello confermando la validità della clausola che prevede la determinazione del canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell’arco del rapporto.
Le parti hanno infatti incondizionata facoltà:
“Secondo la loro libera valutazione espressa al momento della stipulazione del contratto di locazione di immobile adibito ad uso non abitativo, di assicurare al locatore un corrispettivo maggiore, in termini di valore reale e non nominalistica, rispetto a quello goduto in occasione di un precedente rapporto contrattuale (e cioè un aumento del canone in senso proprio); oppure di assicurare al locatore un corrispettivo crescente – sempre in termini di valore reale – durante l’arco di svolgimento dello stesso rapporto, sia prevedendo il pagamento di rate quantitativamente differenziate, sia prevedendo il frazionamento dell’intera durata del contratto in periodi temporali più brevi a ciascuno dei quali corrisponda un canone passibile di maggiorazione, in difetto dell’incidenza di elementi o di fatti (diversi dalla svalutazione monetaria) predeterminati e influenti, secondo la comune visione dei paciscenti, sull’equilibrio economico del sinallagma (ipotesi di canone differenziato).È invero di agevole intuizione che il valore locativo dello stesso immobile urbano adibito ad uso commerciale possa – data la non breve e non riducibile durata legale minima del rapporto locatizio – subire variazione in dipendenza dello sviluppo urbano, della dotazione di maggiori servizi nella zona, della concentrazione di immobili destinabili ad uso concorrenziale, o di altri infiniti fattori estrinseci. Di essi non può essere interdetto ai contraenti di tenere il debito conto ai fini dell’accordo sul corrispettivo, nel senso di rendere compartecipe il locatore dell’incremento nel tempo della redditività da posizione dell’immobile locato, attraverso meccanismi o formule di accrescimento del valore reale del canone ancorati a parametri certi e determinati (non escluso quello rappresentato dal volume degli affari del commerciante conduttore)”.
Fonte: Sentenza Corte di Cassazione.