Quando la tecnologia non serve al lavoro

di Marcella Uricchio

14 Settembre 2007 09:00

L'uso di telefoni cellulari, e-mail, instant messaging, in alcuni casi rischiano di distrarre troppo i lavoratori. Cosa si può fare e come si muove la giurisprudenza

La recente sentenza della Corte di Cassazione, Sez. Lavoro, n. 15334 del 9 luglio 2007, ritenendo legittimo il licenziamento di un dipendente Telecom per uso spropositato del telefono cellulare aziendale per scopi privati, ha riaperto l’annoso dibattito in tema di poteri (di controllo e disciplinari) dei datori di lavoro nei confronti dei propri dipendenti.

La giurisprudenza risulta alquanto divisa in proposito, oscillando tra interpretazioni restrittive ed estensive della normativa che disciplina la materia, della quale si ritiene opportuna una breve panoramica, onde rilevare l’originaria volontà del legislatore, che – purtroppo – molto spesso viene disattesa anche nelle aule dei tribunali.

Il datore di lavoro è titolare di una serie di poteri giuridici, esercitabili in modo discrezionale (salvo i limiti imposti dallo Statuto dei Lavoratori – L. 300/1970) per la tutela dell’interesse dell’impresa, che possono sintetizzarsi in tre categorie:

  1. Potere direttivo
  2. Potere di vigilanza e di controllo
  3. Potere disciplinare

Il potere direttivo consiste nella facoltà di impartire istruzioni per l’esecuzione e la disciplina del lavoro ed è espressione della supremazia gerarchica sancita dall’art. 2086 c.c. (il datore di lavoro è il “capo dell’impresa da cui dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori”). Tuttavia, tale potere non può essere esercitato incondizionatamente, in quanto, oltre ai significativi limiti imposti dallo Statuto dei Lavoratori e dalla contrattazione collettiva, molte delle scelte relative alla disciplina del lavoro sono preventivamente discusse con le rappresentanze sindacali sia interne (RSA ed RSU) che esterne.

Strettamente correlato al potere direttivo è il potere di controllo e/o di vigilanza, a verificare che l’esecuzione dell’attività lavorativa venga effettuata secondo le modalità stabilite dal datore di lavoro. Sul punto, la L.300/70 è intervenuta con notevole incisività, a causa della possibile interferenza tra l’esercizio di tale potere e la privacy dei lavoratori stessi.

I divieti principali sono posti dall’ art. 2, che fa assoluto divieto di servirsi di guardie giurate per il controllo dell’attività lavorativa (salva la necessità di tutelare il patrimonio aziendale); l’art. 3, che impone l’obbligo di comunicare preventivamente ai lavoratori i nominativi e le mansioni del personale di vigilanza; l’art. 4, che pone il divieto di effettuare controlli tramite impianti audiovisivi o altre apparecchiature atte a sorvegliare a distanza i lavoratori (l’impiego di tali strumenti sarà giustificato unicamente da comprovate esigenze produttive e/o organizzative o per motivi di sicurezza, previo accordo con le rappresentanza sindacali aziendali).

Proprio in riferimento all’ultimo divieto indicato (e a sua ulteriore specificazione), di estremo rilievo è il provvedimento generale, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 58 del 10 marzo 2007, emanato dal Garante della Privacy in considerazione dell’utilizzo ormai costante di internet e di posta elettronica all’interno dei luoghi di lavoro.

Il Garante ha sancito, per i datori di lavoro pubblici e privati, il divieto di controllare la posta elettronica e la navigazione in Internet dei dipendenti, se non in casi eccezionali. Spetterà al datore di lavoro definire le modalità d’uso di tali strumenti (informando preventivamente i lavoratori sulle modalità di utilizzo di internet e della posta elettronica e sulla possibilità che vengano effettuati dei controlli), ma tenendo conto dei diritti dei lavoratori e della disciplina in tema di relazioni sindacali.

Il Garante ha poi stabilito l’espresso divieto di lettura e di registrazione sistematica delle e-mail, nonché il monitoraggio delle pagine web visualizzate dal lavoratore, perché ciò realizzerebbe un controllo a distanza dell’attività lavorativa vietato dall’art. 4, L. 300/1970.

Il datore di lavoro è inoltre chiamato ad adottare ogni misura in grado di prevenire il rischio di utilizzi impropri, così da ridurre controlli successivi sui lavoratori. Per quanto riguarda Internet è opportuno ad esempio:

  • individuare preventivamente i siti considerati correlati o meno con la prestazione lavorativa;
  • utilizzare filtri che prevengano determinate operazioni, quali l’accesso a siti inseriti in una sorta di black list o il download di file musicali o multimediali.

Per quanto riguarda la posta elettronica, è opportuno che l’azienda:

  • renda disponibili anche indirizzi condivisi tra più lavoratori , rendendo così chiara la natura non privata della corrispondenza;
  • valuti la possibilità di attribuire al lavoratore un altro indirizzo (oltre quello di lavoro), destinato ad un uso personale.

Il Garante propone, infine, l’istituzione, all’interno dei luoghi di lavoro, di un’apposita figura che impartisca istruzioni sulle regole di utilizzo della strumentazione in dotazione, andando così a completare l’opera di trasparenza ed informazione, proprie di una policy interna.

Rilevate, a seguito dell’esercizio dei predetti poteri, gravi inosservanze da parte del lavoratore (che sia venuto meno agli obblighi di diligenza, obbedienza e fedeltà sanciti dagli artt. 2014 e 2105 c.c.), il datore di lavoro ha la facoltà di irrogare sanzioni disciplinari (potere disciplinare), che vanno dal semplice richiamo verbale al licenziamento.

Ed è proprio in materia di recesso datoriale che si rileva un’attuale tendenza ad abbandonare il modello di rigorosa protezione del lavoratore e del privilegio un tempo riconosciuto in sede giurisdizionale al suo interesse alla conservazione del posto di lavoro. Tendenza culminata con la sentenza di cui in premessa.

Secondo la Suprema Corte, infatti, alla stregua della nozione di giusta causa di licenziamento (art. 2119 c.c.: le parti possono recedere dal rapporto di lavoro, senza preavviso “qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto”), la condotta del dipendente che abbia indebitamente usato, per fini personali, il cellulare aziendale, nella specie omettendo ogni vigilanza sull’uso fattone da parte del figlio ventenne dedito all’invio di SMS (la cui abnormità, nella quantità e nei relativi importi, riscontrabili con la normale diligenza, era stata dedotta dal lavoratore medesimo, per contestare l’intempestività della sanzione espulsiva), è tale da far venir meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore, per essersi protratta nel tempo e per gli indebiti vantaggi conseguiti in danno del datore di lavoro.

A parere di molti la citata pronuncia pecca di eccessiva rigidità, in quanto, privilegiando unicamente l’interesse alla conservazione del patrimonio aziendale, non tiene conto dell’impeccabile servizio prestato dal dipendente per oltre trent’anni, avallando, in tal modo, un utilizzo oltremodo discrezionale dei poteri disciplinari da parte del datore di lavoro.