Non si consuma il reato di dichiarazione IVA fraudolenta se nella dichiarazione dei redditi viene riportata un’operazione non imponibile, perché in quanto tale questa non comporta detrazione d’imposta. Lo afferma con sentenza n. 8668 del 3 marzo 2016 la Corte di Cassazione, esprimendosi in merito a un sequestro preventivo in via diretta per l’ipotesi di reato in questione.
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Dichiarazione fraudolenta
Per i ricorrenti, il reato ipotizzato si configura solo in presenza di simulazione o altri atti fraudolenti, ossia condotte finalizzate a escogitare meccanismi per i quali si sottrae un bene, rendendolo non più disponibile per il Fisco, senza corrisponderne il valore.La Corte ha accolto il ricorso: il momento costitutivo del disvalore del fatto riconducibile alla fattispecie delittuosa è stato individuato nella presentazione di una delle dichiarazioni annuali ai fini delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto. In questo caso, questa valutazione non è stata compiuta, anzi: lo stesso tribunale del riesame ha riconosciuto le fatture emesse in regime di non imponibilità ai fini IVA così che la relativa imposta:
«non possa ritenersi tecnicamente detratta proprio perché non addebitata».
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Il che costituisce dimostrazione di una erronea applicazione del DLgs 74/2000, art. 3, il quale presuppone, quale elemento costitutivo del reato, l’indicazione nella dichiarazione annuale di elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo o di elementi passivi fittizi. Nel caso di specie, invece, non sussiste l’elemento costituito del delitto di frode fiscale, rappresentato dall’utilizzo di mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l’accertamento delle inesistenti falsità documentali.