Per beneficiare della pensione di anzianità il lavoratore deve aver interrotto il rapporto di lavoro dal quale deriva. Lo ha dichiarato la Cassazione con sentenza n. 5052 del 15 marzo 2016. In relazione al requisito di inoccupazione vigente all’epoca della domanda, nel caso in oggetto l?INPS revocava l’assegno ad un lavoratore per non veritiera dichiarazione sulla cessazione di ogni attività lavorativa.
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La Cassazione ha accolto il ricorso sostenendo che, ai sensi dell’art. 22 della legge 153/69, la cessazione dell’attività lavorativa costituisce – al pari del requisito dei 35 anni di iscrizione assicurativa e del requisito contributivo – elemento costitutivo del diritto alla pensione di anzianità. Tale requisito è così rilevante che è stato esteso anche alla pensione di vecchiaia dall’art. 1 commi 7 e 8 dlgs 503/92.
Il fatto che la legge consenta il cumulo tra pensione di anzianità e redditi da lavoro dipendente non toglie che la prestazione non può essere erogata se non dopo la cessazione del rapporto di lavoro, che è un requisito indefettibile, prescritto dalla norma che ha introdotto la pensione di anzianità (v. art. 22 legge n. 153/69).
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La L. 388/2000, art. 72 ha inoltre vietato il cumulo tra pensione di anzianità e reddito da lavoro autonomo superiore a un certo ammontare ed ha, quindi, confermato la totale incumulabilità tra detta pensione e il reddito da lavoro dipendente.
Il conseguimento del diritto alla pensione è pertanto subordinato alla cessazione di qualsiasi rapporto di lavoro in essere, anche diverso da quello in riferimento al quale sono stati versati i contributi alla gestione deputata ad erogare la prestazione (cfr. Cass. n. 17530/2005).