Il referendum sulla Brexit del 23 giugno sarà come il ballottaggio: partita secca, si vince o si perde tutto. Se in Italia c’è differenza tra vincere di misura come Sala a Milano o trionfare come Raggi e Appendino a Roma e Torino, in Gran Bretagna se vincerà il sì anche per poco vorrà dire uscita dalla UE, provocando un terremoto politico, con scosse importanti per il solo fatto di essere stato indetto.
=> Rischi Brexit per le imprese
Secondo Mario Monti, ex premier italiano ed ex commissario europeo:
«le conseguenze del voto, indipendentemente dall’esito, sono pesanti per l’Unione. Non dobbiamo illuderci; se anche il Regno Unito votasse per restare, ormai c’è un precedente. Cosa succederebbe se altri Stati decidessero di intraprendere un cammino simile a quello britannico? Un qualche Paese dell’Est o altri. Che si dice loro? Siete piccoli, non potete chiedere queste cose?».
Quella di Monti, va detto, è la presa di posizione di un europeista convinto, la cui avversione per un referendum come quello sulla Brexit è quindi da leggere con prudenza. La differenza fra il sì e il no c’è eccome: l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione avrebbe conseguenze concrete non paragonabili al rischio, più politico e relativo all‘effetto contagio. Anche quest’ultimo, tra l’altro, avrebbe prevedibilmente tutt’altra portata.
Per non parlare di una serie di variabili, anche e forse soprattutto politiche, al momento difficili da misurare, come l’impatto che una simile ipotesi è destinata ad avere sulla crescente ondata di movimenti euro-scettici, in molti paesi europei. Come primo rischio Brexit, insomma, si può senz’altro individuare quello relativo alla messa in discussione dell’intero impianto di costruzione dell’Unione Europa. Non della moneta unica, di cui la Gran Bretagna non fa parte, ma anche qui il rischio contagio non si potrebbe escludere.
Più nell’immediato, l’impatto principale riguarda, secondo le analisi degli economisti, la Sterlina, già in fase di deprezzamento sull’Euro ma che, in caso di Brexit, si stima potrebbe perdere circa il 20% sulla moneta unica. Per le imprese britanniche e italiane con filiali inglesi che lavorano in sterline significa comprare le materie prime a prezzi più alti, ma vendere più facilmente sui mercati internazionali. Per le imprese europee ed italiane che lavorano in Euro significa invece avere un impatto negativo sull’export.
SACE (gruppo Cassa Depositi e Prestiti) misura l’impatto Brexit sull’export italiano verso il Regno Unito: quest’anno si chiuderebbe con il segno più ma in flessione rispetto al 2015, che si è chiuso con esportazioni in aumento del 7,4%mentre il 2016 limiterebbe l’incremento fra il 6 e il 7%, con la vera ondata negativa prevista per il 2017 (flessione fra il 3 e il 7%). Nella peggiore delle ipotesi prevista da quest’ultima forchetta, si passerebbe nel giro di due anni da +7,4% a -7%, perdendo 14 punti di export.
Il settore maggiormente colpito dal crollo di esportazioni sarebbe quello dei mezzi di trasporto, oggi quello trainante (+18% nel 2015), che l’anno prossimo invece potrebbe crollare di una percentuale compresa fra il -10 e il -16%. Pesante ribasso anche per la meccanica strumentale, più limitato l’impatto sul tessile e abbigliamento (comunque, in rosso nel 2017, ma al massimo del 3%), in controtendenza alimentari e bevande, che passerebbe dal +9% del 2015 al + 5-6% del 2017, perdendo quindi tre-quattro punti ma mantenendo il segno positivo.
Secondo Standard and Poor’s, l’Italia è insieme all’Austria fra i paesi europei meno esposti al rischio Brexit. Anche il Fondo Monetario Internazionale ritiene l’Italia, insieme a Francia, Germania e Spagna, fra i paesi meno colpiti dall’eventuale Brexit, mentre i più esposti sono considerati Malta, Irlanda, Cipro, Olanda e Belgio. L’FMI lancia anche un vero e proprio allarme Brexit che riguarda invece l’economia inglese: nel 2017, la Gran Bretagna potrebbe tornare in recessione. Anche qui, bisognerebbe valutare l’effetto sull’intera economia europea. ma in generale, il report sottolinea che la
«Gran Bretagna è molto importante per alcune economie europee, ma in termini generali l’UE è più importante per la Gran Bretagna di quanto la Gran Bretagna non lo sia per l’UE».
Detto questo, c’è anche lo scenario Bremain sul quale i mercati hanno puntato all’inizio della settimana del voto, con segni positivi prima in Asia poi in Europa per quanto riguarda gli indici di Borsa, e Sterlina in ripresa. Un andamento che di fatto descrive l’impatto Bremain: fine delle pressioni finanziarie su Borse e valute, oltre che nessuna conseguenza concreta sul fronte dell’economia reale.