La Cassazione (sentenza n. 6665 del 18 febbraio 2016) si è espressa sul reato di abuso d’ufficio in merito all’esercizio del potere disciplinare in situazioni poste al di fuori dell’interesse pubblico, ma afferenti a motivi pretestuosi e intenti ritorsivi. La vicenda nasce dalla sentenza 10 luglio 2015, con la quale il Gip di Viterbo, che dichiarava non luogo a procedere in relazione ad abuso di ufficio di dirigenti ATER a seguito di un licenziamento disciplinare sulla base di presupposti inesistenti.
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Contro la sentenza ricorreva il Procuratore Generale, per erronea applicazione normativa ed illogicità della motivazione. Secondo il ricorrente, infatti, non rilevavano nel caso specifico violazioni concernenti aspetti privatizzati del rapporto di lavoro ma l’esercizio del potere attribuito all’ufficio, esercitato in apparenza non per scopo pubblico ma per interesse personale.
La Cassazione ha accolto il ricorso: nel caso analizzato, la condotta scorretta non riguarda la violazione di norme sul rapporto di lavoro, avente natura privatistica, bensì l’esercizio il pubblico servizio del potere in materia disciplinare, disciplinata dalla legge. Il potere disciplinare nel pubblico impiego, pur soggetto a contratto collettivo di matrice privatistica ed espresso mediante atti negoziali e non con provvedimenti amministrativi, deve essere esercitato nei limiti di legge ed eventualmente integrati dalla contrattazione collettiva.
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La disciplina legale in materia è delineata da plurime fonti normative (art. 2106 cod. civ., art. 7 L. 20 maggio 1970, n. 300, Statuto dei Lavoratori, dagli artt. da 54 a 55-octies del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, come modificati con D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150). In particolare, l’art. 40 del citato decreto stabilisce, al comma 1, che:
«la contrattazione collettiva determina i diritti e gli obblighi direttamente pertinenti al rapporto di lavoro, nonché le materie relative alle relazioni sindacali. (…) Nelle materie relative alle sanzioni disciplinari, alla valutazione delle prestazioni ai fini della corresponsione del trattamento accessorio, della mobilità e delle progressioni economiche, la contrattazione collettiva è consentita negli esclusivi limiti previsti dalle norme di legge».