Nella valutazione delle sanzioni disciplinari è legittimo considerare circostanze anche non specificate nella contestazione al lavoratore (Tribunale di Roma, sentenza n. 290 del 15 gennaio 2016). Esaminando la richiesta di un lavoratore di accertare l’illegittimità del procedimento (per insussistenza della condotta ascritta e difetto di istruttoria), il giudice ne ha respinto il ricorso anche perché, come evidenziato dal datore di lavoro, il dipendente non aveva contestato in modo specifico i fatti come dedotti nella lettera di contestazione.
=> Sanzioni disciplinari e controversie di lavoro
Contestazione disciplinare
Secondo i giudici, la condotta “irrispettosa ed insubordinata” contestata al dipendente si concretizzava anche nell’offesa verbale al direttore, non giustificabile come ritenuto dal lavoratore: affermazioni volgari e gravi non hanno nulla a che fare con il diritto di critica sindacale, soprattutto se riferibili a un soggetto specifico (costituendo deliberata offesa) ed in presenza di altro personale, davanti ai quali il lavoratore ha operato una vera e propria “delegittimazione” del ruolo del superiore.
=> Licenziamento giustificato motivo: novità del Jobs Act
Oneri del datore di lavoro
I giudici hanno poi ricordato che, in tema di sanzioni disciplinari, il datore di lavoro deve solo provare il fatto nella sua materialità. In presenza di tale prova, la responsabilità del lavoratore può essere esclusa solo provando la cosiddetta “causa non imputabile” ex art. 1218 Codice Civile. Quindi, nel caso si specie, il datore di lavoro non doveva provare nulla (le espressioni utilizzate devono ritenersi non contestate) e semmai era il lavoratore che avrebbe dovuto provare i fatti che avrebbero potuto giustificarlo o quantomeno sminuire in modo rilevante la sua responsabilità.