Dopo l’apertura del Governo sul fronte Riforma Pensioni, i tecnici si sono messi al lavoro sulle possibili forme di flessibilità in uscita, che non escludono forma di prestito pensionistico con intervento privato (banche e assicurazioni). I tempi non sono brevi: il cantiere della previdenza si è riaperto in vista della prossima Legge di Stabilità, che significa fine anno 2017, ma si tratta comunque di un’inversione di tendenza rispetto alla posizione dell’Esecutivo, più rigida, dei mesi scorsi. Cesare Damiano, presidente Commissione Lavoro della Camera, definisce:
«particolarmente importante aver ottenuto che nel DEF fosse inserito un esplicito riferimento circa l’intenzione del Governo di andare nella direzione della flessibilità delle pensioni. Questa misura dovrà trovare attuazione nella prossima Legge di Stabilità, come del resto ha affermato il ministro Padoan».
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Secondo le indiscrezioni di stampa, i tecnici del Governo stanno lavorando su diverse ipotesi, per mettere a punto una proposta organica di riforma. Restano sul tavolo le opzioni dei mesi scorsi.
- La proposta Damiano, che prevede un’uscita anticipata con almeno 35 anni di contributi, per chi ha 62 anni di età, con una penalizzazione che cresce in proporzione agli anni di anticipo rispetto all’età minima per la pensione di vecchiaia, fino a un taglio massimo dell’8%.
- Il prestito pensionistico ipotizzato dall’ex ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, per cui il lavoratore che si ritira in anticipo prende un trattamento dall’INPS, che poi restituisce con la pensione. Il pensionamento anticipato sarebbe di due o tre anni rispetto all’età pensionabile.
- La proposta del presidente INPS, Tito Boeri, per un pensionamento anticipato a partire dai 63 anni con un taglio da applicare alla sola quota retributiva.
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Ma ci sono anche nuove ipotesi, che sulla linea di quanto anticipato dallo stesso Padoan prevedono la partecipazione del sistema privato, ad esempio del sistema bancario-assicurativo. Si tratta sempre di un prestito pensionistico, pagato dall’INPS (ma, par di capire, con la partecipazione del sistema privato), che poi viene restituito dal lavoratore.
Il viceministro dell’Economia, Enrico Zanetti, definisce l’opzione «meritevole di essere approfondita», anche perché eviterebbe di «scaricare sul bilancio dello Stato costi ingenti». Ci sono anche altre soluzioni in discussione, che prevedono l’utilizzo del TFR (anche come forma di garanzia nei confronti dell’ente finanziario che anticipa il trattamento). E si studia il meccanismo da utilizzare per la riduzione della pensione, che deve assicurare la restituzione del prestito.
Come si vede, parecchia carne al fuoco, con un filo conduttore individuabile: si tenta di mettere a punto un sistema che pesi il meno possibile sui conti pubblici.
Le prime reazioni dei sindacati, come prevedibile, non sono positive: la segretaria della CGIL, Susanna Camusso, torna a dire «basta a ipotesi in libertà», chiedendosi poi quali sarebbero i trattamenti interessati: «quando si parla di prestito si parla di pensioni che valgono 900 – 1.000 euro al mese, che cosa si presta?». Carmelo Barbagallo, segertario Uil, insiste invece nel chiedere una «flessibilità in uscita senza oneri per coloro che devono andare in pensione».
La Commissione Lavoro della Camera chiede invece misure specifiche a favore delle donne, particolarmente penalizzate dalla Riforma Fornero, e dei giovnai, magari attraverso l’utilizzo della previdenza complementare.