Il Consiglio di Stato, così come aveva già fatto il TAR Lazio, boccia i limiti di capitale per l’accesso allo SPID, Sistema Pubblico per la gestione dell’Identità Digitale previsti dal decreto attuativo (Dpcm 24 ottobre 2014, sulla Gazzetta Ufficiale del 9 dicembre 2015): ora, oltre ai tre provider già attivi (TIM, Poste Italiane ed Infocert), si aprono le porta ufficialmente anche ai piccoli fornitori.
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A presentare ricorso al TAR (sentenza 9951/2015) erano state le associazioni di categoria Assintel e Assoprovider contro l’articolo 10 del decreto, che prevedeva un capitale sociale minimo di 5 milioni per gli identity provider. Un requisito ritenuto dal TAR Lazio discriminatorio in favore dei soggetti pubblici, nonché privo di una finalità logica e sproporzionato rispetto al fine che la norma intende perseguire. A fronte della sentenza del TAR, la Presidenza del Consiglio dei Ministri aveva inoltrato ricorso al CdS (sentenza n. 01214/2016), che si è espresso in maniera del tutto analoga, ritenendo la norma irragionevole, quindi illegittima.
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Ricordiamo che per identity provider si intendono i fornitori che identificano gli utenti e forniscono loro un’identità secondo le regole dello SPID, con la quale accedere a servizi pubblici e privati. Con le sentenze in oggetto si ribadisce, quindi, che l’affidabilità organizzativa, tecnica e finanziaria di una azienda non può essere messa in relazione al capitale sociale.
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