A generare occupazione in Italia non è stato il contratto a tutele crescenti introdotto dal Jobs Act, ma gli sgravi contributivi previsti dalla Legge di Stabilità: l’ultima conferma arriva dall’ISTAT, con il “Rapporto sulla competitività dei settori produttivi“, che analizza le dinamiche della domanda di lavoro delle imprese nel 2015. Un’indagine a campione tra le imprese del Manifatturiero e dei Servizi ha inoltre permesso di approfondire:
«le valutazioni degli imprenditori in merito alle conseguenze della crisi, all’esternalizzazione di alcune funzioni aziendali, all’adeguatezza del proprio potenziale produttivo».
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Ebbene, fra le imprese che hanno effettuato nuove assunzioni aumentando l’organico, l’esonero contributivo ha svolto un ruolo fondamentale nel 50% dei casi nel Manifatturiero e nel 61% nei Servizi. Più basse le percentuali di imprese che hanno ritenuto molto o abbastanza importante il nuovo contratto indeterminato introdotto dal Jobs Act, che ha ridotto le protezioni contro il licenziamento previste dall’articolo 18: il 35% nel Manifatturiero, il 49,5% nei Servizi.
Il sottosegretrario alla presidenza del Consiglio, Tommaso Nannicini, ha commentato i dati spiegando che le due misure sono state pensate come complementari, ma che l’agevolazione contributiva è di carattere congiunturale, mentre per il futuro bisogna intervenire strutturalmente sulla riduzione del costo del lavoro.
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Molto meno evidente il contributo delle agevolazioni IRAP, che non raggiunge il 20% nella Manifattura, mentre è considerato più importante, arrivando al 40%, nei Servizi. Per quanto riguarda gli altri fattori, nel Manifatturiero l’aumento dell’occupazione è stato guidato dall’aumento della domanda interna ed estera, mentre nei Servizi appare molto più rilevante la sola domanda interna. In entrambi i comparti l’influenza esercitata da fattori di natura aziendale (riorganizzazioni, diversificazione produttiva) ai fini dell’assunzione di nuovo personale è molto più limitata.
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L’analisi dell’andamento delle nuove assunzioni nel corso dell’anno mostra come, nel primo trimestre, l’aumento complessivo delle ore lavorate sia stato trainato essenzialmente dall’aumento per dipendente, mentre nel secondo e terzo trimestre sono tornare ad aumentare le posizioni lavorative. In particolare, nel periodo luglio-settembre il livello occupazionale si è riportato sui numeri di inizio 2013, ma resta due punti sotto il 2011. Il saldo 2013-2015 è positivo per 255mila unità (1,1 milioni di posti di lavoro creati e 845mila persi). I dati si riferiscono alle imprese che sono state sempre attive nel periodo considerato, che nel 32% dei casi hanno aumentato i posti di lavoro, nel 29,2% li hanno diminuiti, nel 38,8% non lo hanno modificati. Un dato rilevante riguarda le dimensioni: la maggior propensione all’incremento dei posti di lavoro è stata rilevata nelle PMI.
Fra i diversi contratti, oltre alla crescita dei posti a tempo indeterminato l’ISTAT rileva un boom del lavoro in somministrazione, +43,5% tra il primo trimestre 2013 e l’analogo periodo 2015. L’aumento dei posti di lavoro risulta strettamente legato alla produttività del lavoro, mentre l’età giovane è maggiormente premiante fra le micro-imprese, nella quali a una giovane età dell’imprenditore corrisponde una maggiore probabilità che siano aumentati i posti di lavoro fra il 2013 e il 2015. Altro dato: gli imprenditori stranieri dimostrano una maggior propensione ad aumentare l’occupazione dipendente, soprattutto se di nazionalità extra europea.