Il datore di lavoro, nel momento in cui dispone il trasferimento del lavoratore in altra sede per ragioni organizzative, deve applicare i principi di correttezza e buona fede e preferire, se sono possibili, le soluzioni meno gravose per il dipendente: lo afferma la Corte di Cassazione con una sentenza che accoglie il ricorso di un lavoratore contro l’impresa che lo aveva licenziato per non aver accettato un trasferimento a 600 km di distanza.
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Con la sentenza 1608/2016, la Corte di Cassazione ha stabilito che
«ferma restando l’insindacabilità dell’opportunità del trasferimento, salvo che risulti diversamente disposto dalla contrattazione collettiva, il datore di laovro, in ottemperanza dei principi di correttezza e buona fede (articolo 1375 del codice civile), qualora possa far fronte a dette ragioni avvalendosi di differenti soluzioni organizzative, per lui paritarie, è tenuto a preferire quella meno gravosa per il dipendente, soprattutto nel caso in cui questi deduca e dimostri la sussistenza di serie ragioni familiari ostative al trasferimento.
Nel caso in esame, il dipendente ha obiettato che esistevano soluzioni molto più agevoli, con un trasferimento nella stessa regione di residenza, la Campania, l’impresa ha risposto sottolineando che le esigenze produttive e organizzative giustificavano pienamente la richiesta di trasferimento, la sentenza ha dato ragione al lavoratore. Per quanto riguarda le ragioni familiari, il lavoratore, con moglie e quattro figli in età scolastica, era senza stipendio da un anno, perché l’impresa non aveva rispettato una sentenza di reintegro nel posto di lavoro. In pratica, dopo che l’operaio si era rifiutato di effettuare il trasferimento ed era stato licenziato, aveva vinto il ricorso in tribunale, che aveva disposto il reintegro, provvedimento davanti al quale l’impresa ha riproposto il trasferimento a circa 600 km di distanza, nella stessa unità produttiva che il lavoratore aveva già rifiutato come destinazione.
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La sentenza è importante perché fornisce un’interpretazione del dettato Costituzionale, articolo 41 sulla libera iniziativa economica privata, che «non può essere dilatato fino a comprendere il merito della scelta operata dall’imprenditore».