Niente prescrizione secca per le frodi IVA nell’ambito di operazioni intra-UE: ogni atto interruttivo (es: sentenza d’appello) ne determinerà l’azzeramento dei termini, che dunque ricominceranno da capo così da consentire alla Giustizia di perseguire il reato fiscale. Lo stabilisce la Corte di Cassazione con sentenza n.2210 del 26 gennaio 2016, che sancisce il primato del diritto europeo rispetto a quello nazionale.
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I giudici della Suprema Corte, per argomentare l’annullamento della prescrizione, prendono a riferimento una sentenza della Corte di Giustizia UE (08/09/2015), nella quale i magistrati comunitari denunciano l’insostenibilità delle norme sul termine massimo di prescrizione in presenza di atti interruttivi, nella misura in cui il meccanismo:
«può determinare in pratica la sistematica impunità delle gravi frodi in materia di IVA, lasciando così senza tutela adeguata gli interessi finanziari non solo dell’Erario italiano ma anche» dell’Unione Europea.
Le conseguenze della pronuncia dei giudici di Strasburgo per l’ordinamento italiano, ricorda la Cassazione:
«derivano dal principio del primato del diritto UE rispetto a quello nazionale (compreso lo stesso diritto penale)».
Da qui scatta l’obbligo per il giudice italiano di disapplicare il combinato disposto dagli articoli 160 e 161 del codice penale, nel caso in cui il magistrato ritenga che tale normativa, fissando un limite massimo al corso della prescrizione, pur in presenza di atti interruttivi (di regola, il termine ordinario più un quarto), impedisce allo Stato di adempiere agli obblighi di tutela effettiva degli interessi finanziari dell’Unione Europea, imposti dall’articolo 325 del Trattato sul funzionamento dell’Unione (TFUE).
In pratica il giudice italiano, quando ricorrono i presupposti richiamati, ha l’obbligo di condannare l’imputato senza tener conto dell’eventuale ricorso del termine di prescrizione previsto dai citati articoli 160 e 161 del codice penale. E questo vale nei casi di frodi IVA. L’articolo 325 del TFUE impiega gli Stati membri a
«lottare contro le attività illecite lesive degli interessi finanziari dell’Unione con misure dissuasive ed effettive e, in particolare, li obbliga ad adottare» le stesse misure che adottano per «combattere la frode lesiva dei loro interessi finanziari».
La Cassazione sottolinea che fra gli interessi finanziari dell’Unione
«rientra certamente anche l’interesse alla riscossione delle aliquote agli imponibili IVA, per cui «qualsiasi lacuna nella riscossione dell’IVA a livello nazionale si traduce in un pregiudizio per le finanze dell’Unione».