Fuga in Svizzera: tappa obbligata per PMI?

di Edoardo Musicò

Pubblicato 27 Settembre 2013
Aggiornato 12 Febbraio 2018 20:38

La fuga di piccole e medie imprese italiane in Svizzera ha fatto scattare l'allarme. Gli incentivi studiati per convincere le nostre aziende a trasferirsi oltre frontiera hanno superato le previsioni: tra aziende di servizi e manifatturiere, sono arrivate quasi 180 adesioni all'iniziativa “Benvenuta impresa nella città  di Chiasso“.

La spinta alla delocalizzazione.

Centinaia di aziende si sono trasferite negli ultimi dieci anni in Canton Ticino per motivi di sopravvivenza. Meno lacci burocratici, una legislazione più stabile e variazioni dei tassi d'imposizione fiscale molto più limitate e prevedibili, permettono alle imprese di pianificare strategie di lungo periodo.
Si trasferiscono in Svizzera anche start-up, che investono risorse in ricerca e innovazione tecnologica, perché costrette dal nostro fisco a pagare anche quando il bilancio è in passivo, con il rischio di non potersi sviluppare. La Svizzera ha infatti investito trecento milioni di franchi con utilizzo a tre mesi, nella fase più acuta della crisi, per incentivare le start up del comparto tecnologico, puntando sull'innovazione.

I difetti del sistema Italia

La conferma che numerosi imprenditori si sobbarcano la fatica di trasferirsi, pur di realizzare progetti troppo ostacolati in Italia, arriva anche da un'inchiesta del Sole 24 Ore che punta il dito sul fisco opprimente e sul sistema italiano sempre meno competitivo.
A quanto pare, le politiche restrittive del governo Monti hanno accelerato le migrazioni e tra Chiasso e Lugano fioriscono attività  commerciali e manifatturiere italiane che spaziano dal tessile, al meccanico fino al ramo energia, coinvolgendo anche il settore meccanico, farmaceutico e chimico.

Il successo della strategia elvetica

Il Canton Ticino negozia agevolazioni fiscali, purché le nostre aziende non siano in concorrenza con quelle locali, assumano anche cittadini elvetici e valorizzino aree depresse, pronte ad accogliere nuovi insediamenti produttivi. E i risultati di questa strategia si vedono: secondo Confindustria Lombardia, si sono bruciati duemila posti di lavoro nella regione in un anno e mezzo e altrettanti ne sono stati creati nello stesso periodo proprio nel cantone elvetico.