Per la Corte di Giustizia (causa C-277/14 del 22 ottobre 2015) è ammissibile la detrazione IVA per operazioni inesistenti se c’è buona fede da parte del cessionario. Nel caso in oggetto, un’impresa aveva detratto l’imposta su alcuni acquisti di carburante ma, in seguito a controllo fiscale, l’amministrazione tributaria negava (decisione del 5 aprile 2012) tale diritto perché le fatture risultavano emesse da un soggetto da ritenersi inesistente (irreperibile, non registrato ai fini IVA, con sede sociale inagibile, senza autorizzazioni di vendita, né dichiarazioni fiscali, conti annuali pubblici o imposte versate) e dunque, in base al decreto 27 aprile 2004, non idoneo a procedere a cessioni di beni.
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Respinto il primo ricorso della società, sulla base del fatto che ci si era astenuti dal verificare se tali operazioni si collocassero nell’ambito di una frode, in Cassazione si invocava una violazione dell’articolo 86, paragrafi 1 e 2, punto 1, lettera a), della legge sull’IVA, in combinato disposto con l’articolo 17, paragrafo 2, della sesta direttiva invocando il principio di neutralità dell’IVA: non sarebbe corretto privare un soggetto passivo in buona fede del diritto alla detrazione, tenuto conto che aveva ricevuto documenti che accertavano tale società come operatore che esercitava legalmente: estratto del registro imprese, attribuzione di numero di identificazione fiscale e un attestato di attribuzione di un numero d’identificazione statistica.
Nel valutare la buona fede del soggetto passivo, il giudice ha ritenuto necessarie almeno il sussistere di condizioni sostanziali per esercitare il diritto alla detrazione IVA. In particolare, un’acquisizione di beni può essere qualificata come cessione di beni quando le relative fatture indicano un soggetto inesistente ma è impossibile determinare l’identità del vero fornitore dei beni in questione? Un soggetto inesistente, infatti, non potrebbe né trasferire il potere di disporre delle merci come proprietario né ricevere pagamenti. In tali circostanze, le autorità non disporrebbero neanche di un credito fiscale esigibile e non vi sarebbe alcuna imposta dovuta.
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Alla luce di tali considerazioni, il giudice ha deciso di sospendere il procedimento e sottoporre il giudizio alla Corte di Giustizia. I giudici hanno chiarito che la nozione di «cessione di beni» di cui all’articolo 5, paragrafo 1, della sesta direttiva, si riferisce a qualsiasi trasferimento di un bene materiale effettuata da una parte che autorizza l’altra a disporne come se ne fosse il proprietario. Seppure in mancanza dell’effetto traslativo della proprietà al cessionario, l’operazione è stata realizzata e i beni ceduti e utilizzati.
Requisiti detrazione IVA
In secondo luogo per quanto riguarda le condizioni sostanziali richieste per il sorgere del diritto alla detrazione, dalla formulazione dell’articolo 17, paragrafo 2, lettera a), della sesta direttiva risulta che, per beneficiare del diritto, occorre che:
- l’interessato sia un soggetto passivo ai sensi di tale direttiva,
- i beni o servizi invocati a base del diritto siano utilizzati a valle dal soggetto passivo ai fini delle proprie operazioni soggette a imposta
- a monte, i beni siano ceduti o i servizi forniti da un altro soggetto passivo.
Quanto ai requisiti formali, l’articolo 18, paragrafo 1, lettera a), della sesta direttiva dispone che il soggetto passivo sia in possesso di una fattura redatta ai sensi dell’articolo 22, paragrafo 3 e che, ai sensi dell’articolo 22, paragrafo 3, lettera b), riporti il numero di identificazione ai fini IVA, nome e indirizzo del soggetto, quantità e natura dei beni ceduti.
Restando alle definizioni, secondo l’articolo 4, paragrafi 1 e 2 si considera soggetto passivo chiunque eserciti in modo indipendente e in qualsiasi luogo una delle attività economiche comprese tra quelle di produttore, commerciante o prestatore di servizi, comprese le attività estrattive, agricole, nonché quelle delle professioni liberali o assimilate, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di detta attività.
Secondo i giudici, la possibilità di detrarre l’imposta, basata sulla soggettività passiva del cedente non è messa in discussione dalle circostanze del caso, che non consentivano di far di pervenire automaticamente alla conclusione dell’assenza di un’attività economica alla data di tali cessioni. Inoltre non emerge dalla lettura dell’articolo 4, paragrafo 1 e 2 della sesta direttiva che lo status di soggetto passivo dipenda da una qualsivoglia autorizzazione o licenza concessa dall’amministrazione ai fini dell’esercizio di un’attività economica.
IVA detraibile
Alla luce di queste motivazioni, il cessionario è legittimato a eseguire la detrazione, poiché questa si definisce in base all’imposta dovuta o pagata, e perché in buona fede. Secondo la Corte il diritto alla detrazione è invece precluso se il cessionario è informato di partecipare a un’operazione di evasione d’imposta: comunque, dimostrare la cattiva fede è in capo all’Amministrazione finanziaria. Ciò, se applicato alla giurisprudenza nazionale, è particolarmente significativo: più volte i giudici nazionali hanno sostenuto che l’imposta versata per operazioni soggettivamente inesistenti è indetraibile, e che per dimostrare il contrario è il contribuente a doversi fare carico della dimostrazione della propria buona fede, invertendo così l’onere della prova.