Una grande percentuale di partite IVA italiane ha vissuto nello scorso anno sotto la soglia di povertà. Sarebbero quasi un quarto le partite IVA che nel 2014 hanno vissuto con una disponibilità economica inferiore a 9.455 euro, ovvero la cifra che l’ISTAT indica come minima per una vita al di fuori di una condizione di povertà.
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Ad affermarlo è stata la Cgia di Mestre, mediante un’analisi che ha fotografato lo stato critico del mercato delle partite IVA. Le notizie non sono migliori neanche tra i redditi da pensioni e da lavoro dipendente, dove le percentuali sono rispettivamente al 20,9% e al 14,6%.
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Un trend in continua progressione, tanto che dal 2010 all’ultima rilevazione del 2014 le situazioni di difficoltà sono cresciute del +1,2%. In questo senso spicca ancora di più il dato sulle partite IVA poiché se per pensionati e dipendenti la variazione è stata sostanzialmente limitata (più o meno 1%), nel caso delle partite IVA la stessa è stata del 5,1%. Probabilmente:
«La precarietà presente nel mondo del lavoro si concentra soprattutto tra il popolo delle partite IVA” – afferma il coordinatore dell’Ufficio studi Paolo Zabeo, aggiungendo comunque che “la questione non va affrontata ipotizzando di togliere alcune garanzie ai lavoratori dipendenti per darle agli autonomi, ma allargando l’impiego di alcuni ammortizzatori sociali anche a questi ultimi».
Ad esempio potrebbero essere estese le misure di sostegno al reddito, in analogia con quello che succedere per i lavoratori dipendenti, che contano anche di una indennità di disoccupazione. Altrimenti si assisterà ad un crollo verticale delle posizioni IVA, che dal 2008 al primo semestre 2015 sono diminuite di 260 unità (4,8%), a fronte dei lavoratori dipendenti che, seppur in calo, hanno subito una contrazione più contenuta (2,4%).
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