La pressione fiscale che grava sulle PMI italiane è pari al 44%, in media. Il dato relativo al “corporate tax rate” 2013 è stato evidenziato dallo studio dell’Osservatorio bilanci del Consiglio nazionale dei Commercialisti col dipartimento di economia dell’Università di Genova. Il peso delle tasse sulle imprese è oscillato, nel quinquennio 2009-2013,tra il 41% e il 51%, il valore del corporate tax rate mediano più elevato è stato registrato con riferimento alle grandi imprese nel 2011, quando era pari al 53%, il più basso è stato quello delle PMI nel 2012 (38,7%).
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Tax rate
Il dossier precisa che ad essere preso in considerazione è il costo per imposte, correnti e differite, relativo a IRES e IRAP, mentre non viene considerato il “total tax rate”, che viene calcolato dalla Banca Mondiale sulla base anche di altre imposte e tributi che gravano sulle imprese ogni anno. Il total tax rate delle imprese italiane viene stimato, con riferimento al 2015, nell’ordine del 65,4%. Va inoltre sottolineato che l’Osservatorio bilanci del Consiglio nazionale dei Commercialisti si riferisce ai soli settori industria, commercio e servizi e include le piccole imprese oltre alle medie e alle grandi, escludendo i settori finanziario e le micro imprese.
Il consigliere nazionale dei Commercialisti, Raffaele Marcello, ha così commentato i risultati dello studio:
«La tassazione mediana così individuata ci restituisce il quadro di un sistema imprenditoriale nazionale gravato da un carico fiscale davvero abnorme. È ormai a tutti chiaro che il rafforzamento della ripresa in atto deve necessariamente passare da un alleggerimento consistente proprio del tax rate. Il super ammortamento messo in Stabilità dall’Esecutivo va nella giusta direzione, anche se sarebbe auspicabile una sua estensione anche agli immobili. Così come, ovviamente, è positivo il taglio dell’IRES, che ci auguriamo possa scattare già dal 2016».
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Proposte per ridurre la pressione fiscale
Per ridurre la pressione fiscale sulle imprese i commercialisti propongono il ricorso a ulteriori misure, come spiega il consigliere nazionale delegato alla fiscalità, Luigi Mandolesi:
«Pensiamo all’incremento della percentuale di deducibilità degli interessi passivi, oggi limitata ad una misura pari al 30% del risultato operativo lordo. Il lungo periodo di crisi economico-finanziaria che abbiamo vissuto ha comportato crescenti tassi di indebitamento delle imprese a cui si sono accompagnati risultati operativi lordi via via decrescenti. Tale combinazione ha ridotto oltremodo la misura degli interessi passivi deducibili nel singolo periodo d’imposta. L’incremento della percentuale di deducibilità, oltre ad accelerare il recupero fiscale delle eccedenze di interessi passivi maturate negli anni scorsi, potrebbe dunque fungere anche da volano per l’incremento degli investimenti futuri da parte delle imprese, con positivi effetti anche sulla ripresa del ciclo economico».
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In più «il disegno di Legge di Stabilità 2016 ripropone la possibilità di rivalutare i beni di impresa risultanti in bilancio al 31 dicembre 2014, dietro pagamento di un’imposta sostitutiva, nonché la possibilità di affrancare il saldo attivo di rivalutazione con un’imposta sostitutiva del 10%. L’occasione potrebbe essere propizia – conclude Mandolesi – per riaprire i termini per l’affrancamento dei saldi attivi risultanti dalle precedenti rivalutazioni all’epoca non affrancati per carenza di risorse finanziarie da parte delle imprese. L’affrancamento libererebbe dunque tali riserve rendendole utilizzabili per scopi produttivi, oggi impediti da una tassazione ordinaria troppo gravosa».