A partire dal 2000, complice la crisi finanziaria internazionale e il conseguente crollo di alcune affermate banche mondiali, l’interesse intorno al tema dell’earnings management è stato elevato. Se da un lato si ritiene oggi necessario intensificare i sistemi di vigilanza e controllo in azienda, al fine di evitare fenomeni di falsificazione contabile, dall’altro lato nasce l’esigenza di comprendere come individuare dall’esterno la presenza di pratiche contabili scorrette.
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Qui di seguito saranno illustrate alcune tecniche poco note in letteratura (meno ancora nella pratica) con la speranza non tanto di limitare l’utilizzo di pratiche contabili scorrette, quanto piuttosto di permetterne l’individuazione per tempo.
Earnings management
Dietro alla falsificazione della documentazione contabile di un’azienda possono celarsi numerose motivazioni: tra queste l’esistenza di aspettative. Indipendentemente dalla dimensione dell’azienda, dal fatto che essa sia quotata, dal suo contesto di operatività così come dalla sua struttura del capitale, qualsiasi portatore di interesse nutre aspettative verso il soggetto per cui detiene, per l’appunto, interesse.
Il fornitore si aspetta che il cliente ne liquidi regolarmente le spettanze, l’istituzione creditizia si attende che la società in portafoglio mantenga l’idonea capacità di esdebitamento, i lavoratori si aspettano che la propria azienda sia regolare nei pagamenti degli stipendi, l’investitore auspica la massimizzazione continua del valore dell’organizzazione in cui ha investito. Chiunque quindi detenga una qualsivoglia forma di interesse nei confronti di un’organizzazione, nutre inevitabilmente aspettative e, parimenti, desidera che esse vengano soddisfatte.
La verifica del suddetto soddisfacimento avviene proprio grazie alla visione della documentazione contabile in quanto essa costituisce a tutti gli effetti il “vestito” con cui l’organizzazione si presenta al mondo. Pertanto, manipolare la precitata documentazione in linea con le aspettative dei portatori di interessi può significare accrescere la credibilità dell’azienda, migliorare l’immagine degli organi dirigenti, sviluppare un maggior potere contrattuale nei confronti dei creditori e, non ultimo, aumentare le remunerazioni variabili del vertice legate a politiche di management by objectives e di partecipazione azionaria ai risultati aziendali.
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Individuare pratiche contabili scorrette
Parte della letteratura accademica ritiene che modificazioni sensibili degli utili da un anno all’altro, se dettate unicamente da manovre contabili (cambio delle aliquote di ammortamento applicate agli immobilizzi, variazione nella valorizzazione della giacenze, compressione artificiosa degli utili per minimizzare l‘imposizione fiscale, etc.), non alterino la capacità per la società di attrarre capitali proprio perché ampiamente comprese dal mercato. Personalmente sono in disaccordo con tale tesi in quanto ritengo che essendo l’utile di esercizio (o alternativamente l’utile operativo) un parametro di partenza per la stesura del rendiconto finanziario indiretto e, conseguentemente, per la valorizzazione del free cash flow to the firm e del free cash flow to equity, l’aggiustamento degli utili generi distorsioni in termini di quantificazione dei flussi di cassa generati dalla gestione e pertanto sul valore presumibile dell’azienda (in ottica di discounted cash flow).
A riprova di ciò, lo studio di Dechow, Sloan e Sweeney del 1996 ha stimato nel 9% ca. il calo medio del valore di un titolo azionario post annuncio di earnings management. Wu nel 2002 ha stimato un calo del 25% ca. del valore dei titoli di quotate a seguito di earnings restatement (revisione a posteriori di utili precedentemente pubblicati). Da ciò emerge il forte impatto negativo che l’earnings management rischia di avere sulla struttura finanziaria aziendale e, di conseguenza, la necessità per qualsiasi portatore di interesse di poter individuare preventivamente l’esistenza di pratiche contabili scorrette.
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Rilevazione manipolazioni contabili
“Revealing the unseen” è il mantra di alcuni noti professionisti che per lungo tempo si sono concentrati sul tema dell’individuazione di pratiche contabili scorrette. Durante la mia personale esperienza ho formalizzato un “percorso semplificato” che, attraverso cinque punti, intende giungere ad una prima stimata formalizzazione del grado di “malleabilità” della documentazione contabile. Vediamo insieme i punti nel dettaglio.
1. Il primo passo è quello di analizzare de visu l’evoluzione di alcune variabili di bilancio che, il più delle volte, sono a mio avviso in grado di fornire autonomamente evidenza circa la presenza di anomalie contabili. Ci tengo a precisare: parliamo in questo caso, come in tutti quelli che seguiranno, di “possibilità”, mai di certezza. Il primo test è legato alla composizione del valore della produzione in quanto un volume d’affari che presenti una forte incidenza di variazioni lavori in corso e giacenze, piuttosto che di altri ricavi, può essere segno di valorizzazione impropria dei semilavorati e/o dei SAL. Procedo quindi con l’analisi degli oneri capitalizzati in quanto un valore elevato presente nell’esercizio corrente e non rilevabile con continuità nel passato potrebbe essere ascritto alla volontà di capitalizzare ingiustamente il costo della manodopera (così come, invero, a scarse opportunità di mercato che hanno portato il management ad allocare i lavoratori su miglioramenti della capacità tecnica interna). Passo quindi ad analizzare, su base storica, l’andamentale dell’incidenza del consumato sul valore della produzione netta (al netto degli altri oneri diversi di gestione) in quanto è raro che, operando stabilmente in un mercato, si modifichi da un anno all’altro l’incidenza media del consumato di materie, tendenzialmente stabile nel tempo a meno di modifiche sostanziali nel proprio parco-fornitori. Procedo con l’analisi delle aliquote di ammortamento medie rilevabili nel tempo (sia in termini di tangibles che intangibles) per comprendere se mi trovi di fronte a un’azienda che opera politiche distorsive di ammortamento. Analizzo quindi l’andamentale degli altri oneri di gestione e dei proventi e oneri straordinari in quanto, per definizione, in Italia sono trattati spesso alla stregua di “conti-bidone”. Infine indago l’andamentale dell’imposizione fiscale in quanto, per esperienza, alcune aziende operano un processo di “reverse accounting” partendo dagli oneri tributari target (in sostanza, “quanto intendono pagare di imposte”) per giungere all’imponibile da rilevare a bilancio.
2. Il secondo passo è quello di replicare la suddetta analisi per le componente patrimoniali. Comincio quindi analizzando la valorizzazione delle immobilizzazioni finanziarie in quanto alcune società sopravvalutano le proprie partecipazioni. In questo specifico caso suggerisco di approfondire l’analisi analizzando, a loro volta, la documentazione contabile delle aziende iscritte quali partecipazioni (nello specifico controllate e collegate) al fine di stimarne grossolanamente il valore e comprendere se esso sia, anche solo minimamente, coerente con quanto iscritto effettivamente a bilancio. In secondo luogo procedo con l’indagare l’andamentale dell’indice di rotazione delle giacenze giacché è possibile che un rialzo repentino di tale variabile celi una incorretta valorizzazione del magazzino. Reitero il medesimo processo sui crediti in quanto un aumento nelle dilazioni medie di incasso può essere sì la prova di una perdita di potere contrattuale nei confronti del mercato così come invece può essere il primo segno di incagli e/o sofferenze non portate in svalutazione (quest’indagine può essere supportata dall’analisi degli accantonamenti in conto economico). Infine procedo ad analizzare l’entità, l’incidenza sul venduto e la natura (ove presente in nota integrativa) dei ratei e risconti attivi per comprendere se sussistano fenomeni di impropria anticipazione dei ricavi.
Giunti a questo punto, il professionista preparato è in grado di comprendere in prima approssimazione se sussista – o meno – la possibilità per l’azienda di aver fatto ricorso a politiche di earnings management. L’analisi che segue è di dettaglio superiore in quanto prevede l’impiego di tecniche di maggiore complessità.
3. Il terzo passo del processo di rilevazione che vi sottopongo muove dalle teorie del 2002 di Hribar e Collins i quali giunsero nel loro testo “Errors in estimating accruals” a concludere che l’analisi del cash flow from operations fosse in grado di rivelare possibili condotte contabili improprie. In realtà Hribar e Collins, come spesso accade nei testi di ricerca accademica, giunsero ad una serie di considerazioni finali che richiederebbero un intero articolo ad hoc, nonché il possesso di solide competenze statistiche. Volendo tuttavia rendere tale punto applicabile a chiunque operi nelle organizzazioni nazionali (in prevalenza di taglio medio e piccolo), mi limito a riportare che l’analisi andamentale del cash flow from operations (e cioè della liquidità della gestione operativa prima di investimenti e disinvestimenti) in relazione al risultato d’esercizio può fornire già da subito un utilissimo indicatore. Preciso che questa è la tecnica cui io faccio ricorso più frequentemente. Riprendendo il concetto formulato da Deangelo nel 1994 di random walk, analizziamo dapprima se il “cammino” degli utili negli anni sia stato differente da quello del cash flow from operations. Se difatti pensiamo all’utile come alla somma della liquidità generata da un’azienda e dei flussi patrimoniali, una liquidità “ballerina” a fronte di utili costanti evidenzia la possibilità (non l’implicazione automatica!) di distorsioni contabili nei flussi patrimoniali.
4. Il quarto passo del processo si basa su di un fondamentale assunto. L’organizzazione alla ricerca di nuova provvista finanziaria deve inevitabilmente mostrare ai potenziali investitori un ritorno sull’investito sufficiente a remunerare il tasso di mercato risk-free più il rischio derivante dall’investire nell’organizzazione stessa (cd. teoria del “capital asset pricing model”). Accade tuttavia che, talvolta, organizzazioni evidenzino un aumento della debitoria finanziaria netta a fronte di una graduale diminuzione negli anni del rendimento sull’investito. Ciò equivale a dire che il management raccoglie nuova provvista finanziaria consapevole del fatto che essa verrà allocata su investimenti che sino ad oggi hanno mostrato un rendimento decrescente. La mia opinione è che occorra sempre diffidare di situazioni di questo genere in quanto tipiche di quelle organizzazioni che hanno omesso passività in bilancio e che, malgrado una redditività decrescente del proprio business, necessitano forzatamente di liquidità per garantire la continuità dell’azienda (cd. going concern), indipendentemente dal rendimento cui la liquidità sarà allocata. Il senso del discorso è: perché continuare a immettere liquidità in una macchina che ne produce sempre meno? Anche in questo caso la cautela è tuttavia d’obbligo.
5. L’ultimo passo di questo iniziale percorso di avvicinamento al mondo dell’earnings management è definito in gergo “M-Score”. I più conoscono il noto “Z-Score” di Altman, indicatore in grado di fornire una prima valutazione circa la possibilità di default di un’azienda. Ebbene l’M-Score di Beneish è un indicatore in grado di rilevare la probabilità circa la presenza di manipolazioni contabili. Di M-Score ne esistono due differenti versioni, distinte in funzione del numero di variabili contabili coinvolte nel processo di calcolo. Va premesso che il modello è stato studiato per organizzazioni anglosassoni che rispettino gli US Gaap e, proprio per questo, deve essere adottato con cautela se in riferimento a organizzazioni sottostanti alla IV direttiva CEE. Per questo motivo utilizzo la versione di M-Score più “snella”, e cioè quella a cinque variabili, la quale muove dall’assegnazione di un rating in funzione di soli cinque indicatori: indice del tempo medio di incasso, indice del margine industriale lordo (in Italia possiamo usare con sufficiente approssimazione il margine operativo lordo), indice della qualità degli investimenti, trend del venduto e indice degli ammortamenti. Lascio al lettore comprendere la modalità di impiego e il relativo formulario del M-Score onde appesantire ulteriormente il presente testo. Si sappia tuttavia che, una volta definite le predette variabili, il modello prevede di associare a ciascuna di esse un peso al fine di ottenere un giudizio finale in merito alla propensione dell’azienda a manipolare i dati contabili. Anche in questo caso, come nella tecnica di Hribar e Collins, non esistono verità assolute e la “bontà” e prudenza del professionista sono fattori imprescindibili.
Conclusioni
Il presente testo non deve essere inteso come scibile in materia di earnings management in quanto gli strumenti a disposizione di chi voglia realmente intraprendere un’approfondita analisi sulla veridicità dei dati di bilancio sono numerosissimi e talvolta complessi. In questo testo ho semplicemente voluto fornire un percorso di avvicinamento alla rilevazione di possibili manipolazioni contabili, strutturato a mo’ di “guida” per gli addetti ai lavori e non, con la speranza di aver fornito alcune utili indicazioni per chi desideri realmente addentrarsi in questo specifico ambito.
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Heber Caramagna (h.caramagna@knetproject.com) è Business Manager della practice “Sviluppo organizzativo, economico e finanziario” in KNET Project, società di consulenza di direzione con uffici a Torino e Milano. Opera da anni con primarie realtà sul territorio nazionale in materia di miglioramento delle performance aziendali.