La metà dei Comuni italiani ha deliberato l’applicazione dell‘aliquota massima per l’IMU sugli immobili ad uso produttivo come i capannoni, per un totale di tasse a carico delle imprese di 10 miliardi di euro. É quanto emerso dall’Ufficio studi della CGIA Mestre. Ad oggi, dei circa 70 Comuni capoluogo di provincia monitorati, il 48% ha applicato sui capannoni (categorie catastali D1, D7 e D8), per l’anno in corso, l’aliquota IMU massima, pari al 10,6 per mille. Tra questi, grandi città quali Roma, Milano, Venezia, Bari, Bologna, Firenze e Napoli.
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In generale, il 77% dei Comuni non ha modificato l’aliquota rispetto al 2014 e l’8% ha diminuito il prelievo IMU-TASI sui capannoni. Poi ci sono il 14% dei Comuni che hanno innalzato l’aliquota. In sostanza la riduzione delle tasse sugli immobili per le abitazioni principali viene decisa dai sindaci italiani a discapito delle attività produttive, alberghi in primis. Al netto delle deduzioni fiscali saranno infatti proprio gli alberghi a subire maggiormente il peso di IMU e TASI, per un totale di circa 12.000 euro complessivi nel corso del 2015.
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Le grandi attività commerciali spenderanno poco più di 8.000 euro, i capannoni e le grandi industrie quasi 6.500 euro, i capannoni di minori dimensioni 4.000 euro, gli uffici e gli studi privati poco più di 2.000 euro, i negozi 986 euro ed i laboratori artigianali 759 euro. L’analisi della CGIA ha inoltre evidenziato come negli ultimi anni:
“Dal 2011, ultimo anno in cui abbiamo pagato l’ICI, al 2015, l’incremento del carico fiscale sugli uffici ha sfiorato il 150%. Per i negozi l’aumento è stato del 140%, per i laboratori artigianali il 110%, mentre per gli alberghi e per i capannoni industriali il prelievo è quasi raddoppiato”.
A fronte dei risultati emersi, il coordinatore dell’Ufficio studi Paolo Zabeo, dichiara:
«Renzi ha fatto bene ad annunciare l’abolizione, a partire dal 2016, dell’IMU sugli imbullonati grazie a questa misura gli imprenditori risparmieranno circa 250 milioni di euro. Tuttavia, a nostro avviso, sarebbe ancor più necessario diminuire l’IMU a tutte le imprese, anziché abbassare l’IRES. In primo luogo perché la riduzione di quest’ultima imposta avvantaggerebbe soprattutto le grandi imprese, come le attività finanziarie e quelle assicurative. In secondo luogo per il fatto che il taglio dell’IRES interesserebbe pochissime aziende, poco più di 600.000. Questa imposta, infatti, è pagata solo dalla dal 57 per cento delle società di capitali: le altre, in massima parte, non la versano perché presentano costantemente redditi negativi».
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Zebeo aggiunge poi:
«Ci preme sottolineare che il capannone non viene ostentato dall’imprenditore come un elemento di ricchezza, bensì come un bene strumentale che serve per produrre valore aggiunto e per creare posti di lavoro, dove la superficie e la cubatura sono funzionali all’attività produttiva esercitata. Accanirsi fiscalmente su questi immobili non ha alcun senso, se non quello di fare cassa, danneggiando però l’economia reale del Paese».