Gestire uno o più servizi con ampia autonomia decisionale: l’espletamento di fatto di queste mansioni comporta la qualifica di dirigente e l’azienda non può non riconoscere il relativo inquadramento: lo stabilisce la Cassazione che, con la sentenza n. 18165/2015, definisce
«infondata la tesi che condiziona il riconoscimento della qualifica dirigenziale alla formale investitura da parte dei vertici aziendali».
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Nel caso in oggetto – il ricorso di un funzionario – la Suprema Corte ribadisce l’orientamento già espresso con sentenza n. 5809 del 2010, per cui ai fini del riconoscimento della qualifica dirigenziale:
«è sufficiente che sia dimostrato l’espletamento di fatto delle relative mansioni, caratterizzate dalla preposizione a uno o più servizi con ampia autonomia decisionale, e non occorre anche una formale investitura trasfusa in una procura speciale». Richiedere anche un’investitura formale comporta la «violazione del principio della corrispondenza della qualifica alle mansioni svolte».
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La sentenza definisce anche la differenza fra:
- dirigente (c.d. dirigente apicale) – la qualifica spetta se il dipendente, «come alter ego dell’imprenditore» è preposto alla direzione dell’intera organizzazione aziendale, ovvero ad una branca o a un settore autonomo di essa», con attribuzioni che, «per la loro ampiezza e i poteri di iniziativa e discrezionalità che comportano», implicano di fatto una partecipazione alle decisioni di governo complessivo dell’azienda.
- impiegato con funzioni direttive (c.d. pseudodirigente) – «è preposto a un singolo ramo di servizio, ufficio o reparto» e «svolge la sua attività sotto il controllo di un imprenditore o di un dirigente, con poteri di iniziativa circoscritti e con corrispondente limitazione di responsabilità».
Nel caso specifico, il dipendente aveva la responsabilità di un’area strategica, che raggruppava diversi servizi, e del relativo personale, circa 70 persone.
Per approfondimenti: Sentenza Cassazione n. 18165/2015