Con la sentenza n. 8683/2015 la Corte di Cassazione si è pronunciata in tema di licenziamento della madre lavoratrice, risarcimento del danno e nullità del contratto. Il licenziamento è nullo ma niente articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Il caso riguardava un caso di licenziamento intimato ad una lavoratrice nell’anno di interdizione del recesso per maternità. Il licenziamento intimato alla lavoratrice madre, in violazione del divieto posto dall’art. 2, l. n. 1204/1971, è soggetto al regime ordinario della nullità di cui all’art. 1418 c.c. e pertanto prevede l’applicazione di una sanzione in risarcimento del danno per tutto il periodo di permanenza degli effetti dell’evento lesivo.
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Secondo i giudici di primo grado tale licenziamento era da considerarsi illegittimo e discriminatorio, quindi l’azienda veniva condannata al risarcimento del danno dalla data del licenziamento a quella dell’offerta della reintegrazione nel posto di lavoro. La società aveva quindi presentato ricorso alla Corte di Cassazione.
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I giudici supremi hanno tuttavia respinto il ricorso, precisando che il licenziamento intimato alla lavoratrice madre in violazione del divieto di legge è sottratto al regime sanzionatorio previsto dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori ed è invece soggetto al regime ordinario della nullità (art. 1418 cod. civ.). Questo prevede il risarcimento del danno applicabile per tutto il periodo di permanenza degli effetti dell’evento lesivo. Il che, si legge nella sentenza:
“Comporta l’inoperatività del disposto dell’invocato art. 18 che ricollega al rifiuto dell’offerta datoriale alla ripresa del lavoro l’effetto risolutivo del rapporto, del resto previsto con riguardo al periodo successivo all’emanazione dell’ordine giudiziale di reintegra, dovendosi semmai in precedenza parlare di revoca del licenziamento intervenuta allorché l’atto recettizio ha esplicato la sua efficacia, revoca che tuttavia il lavoratore ha diritto di rifiutare senza conseguenza alcuna”.
Fonte: Corte di Cassazione, sentenza n. 8683/2015.