Ben 1 azienda su 5 non maschera o protegge i dati dei clienti prima di fornirli ai propri outsider, nonostante gli elevati rischi che ciò comporta per la sicurezza.
Alla base, difficoltà nel processo di mascheramento dei dati e incertezze sulle leggi che regolano la condivisione con terze parti.
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E’ quanto emerge da uno studio commissionato da Compuware Corporation e condotto dall'istituto di ricerca Vanson Bourne, coinvolgendo 520 CIO di grandi aziende, anche italiane.
Se da un lato un 20% delle aziende non maschera o protegge i dati prima di fornirli a terzi per testare le applicazioni, l’82% delle aziende che adottano tale procedura descrivono questo processo come difficoltoso (il 100% del campione nel caso dei CIO italiani).
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Inoltre, il 56% di coloro che sostengono il valore del mascheramento ritiene comunque che questa pratica possa comunque avere un impatto negativo sulla qualità del test e dei processi di QA; il 30% delle aziende (il 43% in Italia) decide di non fornire del tutto i dati dei clienti agli outsourcer.
Nonostante le leggi che disciplinano l'utilizzo e la condivisione con terze parti, il 43% dichiara di non comprenderle (il 36% nel caso del campione italiano). Il 62% delle aziende forniscono dati out-of-date oppure scelgono di selezionare piccole quantità , piuttosto che una copia integrale della produzione.
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In generale, fornire a terzi parti dati dei clienti non protetti crea un doppio danno: non solo aumenta le possibilità che questi siano utilizzati in modo improprio o rubati, ma rende anche le aziende inadempienti per quanto riguarda le norme di protezione dei dati. In entrambi i casi, gli effetti possono ripercuotersi negativamente sui ricavi e sulla reputazione dell'azienda.