Le lavoratrici che hanno scelto l’Opzione Donna di pensione anticipata non dovranno restituire l’ASPI (o la NASPI), eventualmente percepite fino al momento di effettiva decorrenza dell’assegno previdenziale: lo stabilisce l’INPS, con la circolare 142/2015, dedicata a fornire una serie di chiarimenti sull’assicurazione sociale per l’impiego (che, in base al Jobs Act, per le interruzioni di rapporti di lavoro intervenute dallo scorso 1 maggio 2015, viene sostituita dalla NASPI).
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Restrizioni ASpI
Il punto è il seguente: in generale, se un lavoratore percepisce una prestazione di disoccupazione, questa deve terminare nel momento in cui scatta la decorrenza della pensione. Il problema, specifica la circolare al punto 11, è che in alcuni casi (ad esempio, l’Opzione Donna, piuttosto che la totalizzazione dei contributi) è impraticabile, «dal punto di vista logico e operativo, la possibilità di respingere le eventuali domande di indennità». Questo, perché si tratta di situazioni in cui la decorrenza della pensione teorica non corrisponde alla realtà, per effetto del meccanismo delle finestre di accesso.
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Risultato: se si sospende l’ASpI, o la mini ASpI, a una lavoratrice che ha scelto una regime pensionistico in base al quale fra la decorrenza della pensione e l’effettiva percezione del primo assegno trascorrono mesi, si determina un periodo senza stipendio e senza pensione. Quindi, spiega l’INPS:
«Nei casi in cui l’esercizio di una facoltà di legge (es. opzione per il regime sperimentale donna, totalizzazione, ricongiunzione o totalizzazione di periodi contributivi esteri) comporti il perfezionamento del diritto a pensione ad un momento antecedente all’esercizio della facoltà, ma consenta di ottenere la pensione solo con decorrenza successiva all’esercizio delle predette facoltà, è possibile fruire dell’indennità di disoccupazione ASpI e mini-ASpI e Naspi fino alla prima decorrenza utile successiva all’esercizio delle predette facoltà».
La regola precedentemente applicata prevedeva la restituzione di quanto eventualmente percepito come indennità nel momento in cui arrivava la pensione vera e propria. Ora, invece, la lavoratrice è comunque coperta dal sussidio fino a quando non arriva l’assegno previdenziale, e non deve poi effettuare nessuna restituzione.
Opzione Donna
Ricordiamo, brevemente come funziona l’Opzione Donna: è il diritto della lavoratrice ad andare in pensione anticipata con almeno 35 anni di contributi, e 58 anni di età per le dipendenti e 59 per le autonome. Secondo la Riforma che ha introdotto questa opzione (legge 243/2004, articolo 1, comma 9), l’opzione può essere esercitata fino al prossimo 31 dicembre, ma in realtà l’INPS sta applicando un’interpretazione restrittiva per cui la fine del 2015 è il termine per la decorrenza della pensione, non per la maturazione del diritto (che avviene 12 mesi prima per le dipendenti e 18 per le autonome, per effetto delle finestre mobili).
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Come si vede, è possibile che una lavoratrice abbia esercitato l’Opzione Donna, scegliendo di ritirarsi quindi con anticipo e accettando il calcolo interamente contributivo della pensione, ma perda il lavoro prima della decorrenza della pensione. In questo caso, ha diritto all’ASpI (o alla NASpI, che però riguarda solo i licenziamento o le dimissioni per giusta causa successive al primo maggio 2015, in teoria quindi fuori dalla possibilità di esercizio dell’Opzione Donna). Quando poi va effettivamente in pensione, e percepisce l’assegno, smetterà di prendere l’ASPI, e non dovrà restituire nulla. Sottolineiamo infine che ci sono diverse proposte in parlamento per respingere l’interpretazione restrittiva INPS sull’Opzione Donna, riconoscendo il diritto ad esercitarla fino alla fine dell’anno, o anche ipotesi di proroga ulteriore. Nel frattempo, l’INPS accetta comunque tutte le domande senza respingerle, in attesa di chiarimenti definitivi.
Fonte: circolare INPS 142/2015.