I suggerimenti proposti da Google nel modulo di ricerca dovranno essere filtrati. Lo stabilisce una sentenza depositata dal Tribunale di Milano sulla base della denuncia di un utente, il cui nome è stato associato dai suggerimenti del motore alle parole “truffa” e “truffatore”.
Un’ordinanza dello scorso gennaio aveva già sollevato la questione e messo i tecnici di Mountain View difronte alla necessità di apportare un qualche cambiamento; Google aveva tuttavia fatto ricorso sostenendo che il sistema di autocompletamento rappresenti un semplice algoritmo basato su valutazioni statistiche.
La nuova sentenza pone però l’accento sull’atto diffamatorio e sulle sue conseguenze: «la ritenuta valenza diffamatoria dell’associazione di parole che riguarda il reclamato è innegabilmente di per sé foriera di danni al suo onore, alla sua persona ed alla sua professionalità», si legge nel blog “Law is freedom” di Carlo Piana.
«Negare – come fa Google – che una condotta diffamatoria non generi nella persona offesa un danno quantomeno alla sua persona significa negare la realtà dei fatti ed i riscontri della comune esperienza. L’accertata infondatezza dei motivi dedotti con il proposto reclamo ne comporta il rigetto, con la conseguente condanna di Google a rimborsare a controparte le spese della presente fase».
L’ordinanza parla chiaro: i suggerimenti possono quindi essere diffamatori e lesivi nei confronti degli utenti, special modo nel caso in cui questi ultimi si appoggino ad Internet come strumento di lavoro. A Google non resta quindi che prendere provvedimenti sotto forma di filtri ad hoc contro i suggerimenti “pericolosi” o un modulo di segnalazione grazie al quale chiedere la cancellazione di parole non gradite.
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