Sembra strano a dirsi, ma tra le idee di business del nuovo millennio si trovano best practice vincenti che mai avremo pensato. Tra queste vi è anche l’educational consulter.
Erede degli antichi precettori che fornivano una formazione “specialistica” a domicilio, è oggi un professionista della conoscenza che “consiglia” e orienta sui percorsi formativi da seguire nel medio periodo.
La vera novità? Il supporto dell’ICT in questa particolare tipologia di consulenza a lungo termine.
Il vantaggio rispetto al passato è che il tutor non è certo costretto a trasferirsi in casa dei committenti ma può contare su strumenti di e-learning e tool Web 2.0.
Ebbene, con un investimento ridotto, una qualunque Pmi che opera nel campo della formazione può andare oltre, offrendo un servizio one-to-one e in modalità mista (in aula e a distanza) a dipendenti di azienda, studenti di un istituto di formazione o istruzione e utenti in generale. Un metodo integrativo, più che alternativo, a quello offerto della formazione pubblica, con il vantaggio della simultaneità.
Il consulter, ad esempio, scopre qual è il talento del dipendente – studente – utente e lo indirizza verso i settori di eccellenza dell’economia italiana – la moda, il design, le nicchie più innovative del ‘quaternario’. Lo scopo è dare a nuove leve e professionisti in erba consigli e indicazioni di vita, non solo garantirgli il necessario bagaglio culturale. Tutto questo per entrare più speditamente nel mondo del lavoro.
In uno scenario più avanzato, le Pmi possono avere come clienti anche altre aziende in cerca di un partner strategico che le aiuti a implementare servizi di aggiornamento e formazione per i dipendenti, o addirittura direttori didattici di istituti pubblici e privati. In questo caso qual è il servizio offerto? Scoprire i punti di forza e di debolezza dell’istituto, avanzando proposte concrete per riposizionare il cliente nel sistema dell’istruzione.
Com’è ovvio non siamo negli Stati Uniti dove questo genere di mercato si è già consolidato. Basti pensare alla diffidenza dei decisori pubblici italiani verso le consulenze esterne (scambiate spesso per ingerenze). Dunque è prioritario conquistare i dirigenti scolastici con una proposta educativa originale.
Le aziende che fanno consulting dovrebbero tenere un report aggiornato con il profilo dei potenziali clienti per definire l’identità dell’istituto/azienda/ ovvero la percezione che ne hanno coloro che ne fanno parte. L’obiettivo è far emergere l’inclinazione dell’istituto o della società per dargli più autorevolezza e una collocazione specifica e in un certo senso irripetibile.
Il report del consulente traccerà questo quadro ricorrendo agli strumenti del marketing e della comunicazione. Per scriverlo si spulcia negli archivi, si analizzano guidelines, circolari e disposizioni, verificando se e come vengono rispettate.
Facciamo qualche altro esempio. Un educational consulter traccia il quadro di quanto realmente possa proporre un istituto in termini di offerta formativa: un insegnamento più attento alla disciplina e all’autorità; attività sportive a livello agonistico; attività creative o scientifiche al centro dell’azione pedagogica; spazio per scrittura narrativa, arte o musica, sostegno ai diversamente abili, ecc.
Una Pmi che si proponga in veste di educational partner può offrirsi volontaria per rispondere a telefonate ed email in segreteria, parlare con il personale ausiliario, partecipare a consigli dei docenti e alle assemblee degli studenti. Ascoltare sindacalisti, supplenti e professori di sostegno. Addirittura, l’educational consulter valuta se gli agenti editoriali fanno onestamente il proprio lavoro quando propongono libri di testo da adottare in classe. E ancora, identifica le necessità IT dell’istituto, valutando quanto materiale cartaceo può essere sostituito con Internet e prodotti informatici. Se il preside intuisce che può risparmiare innovando, l’azienda avrà centrato il bersaglio.
Dopo aver fatto un giro in istituto abbiamo composto una prima immagine mentale del nostro cliente. A questo punto selezioniamo un gruppo di tester fidati tra gli studenti, i professori, i genitori. Chiediamogli cosa pensano della scuola, cosa si potrebbe migliorare e cosa non funziona. Il passo successivo è interpretare le informazioni che abbiamo raccolto attraverso un metodo: le griglie di sociologia e psicologia, marketing e microeconomia, teoria cognitiva o più semplicemente quella narrativa.
Quali sono gli obiettivi dell’istituto? Quali azioni compie per raggiungerli? Un’esperienza completa sulla scuola in questione, in pratica, che il dirigente analizzerà per valutare la nostra proposta.
Le Pmi che fanno educational consulting possono reclutare i loro dipendenti tra le migliaia di laureati in lettere, scienze della comunicazione e della formazione. Potenziare l’educational consulting significa quindi dare anche un’opportunità ai lavoratori della conoscenza e favorire il processo di riforma dell’istruzione e formazione italiana, aumentandone la competitività e l’informatizzazione.
In un certo senso, un’idea di business di questo tipo serve a riproporre un modello di insegnamento plurisecolare, quello italiano, che affonda le sue radici nel mondo antico. “Prendersi cura di se stessi” come diceva Socrate ai suoi discepoli. Un metodo ereditato dalla romanità e dal mondo medievale che onora ancora la nostra cultura. Grazie all’IT possiamo esportare e internazionalizzare questo modello, attirando in Italia gli studenti di altre nazioni, oppure dialogando con loro attraverso software e piattaforme online.
In definitiva l’educational consulting potrebbe rappresentare una buona chance per le aziende che intendono investire in ricerca e formazione. Speriamo che non rimanga una occasione (sprecata?) di business. Perché negli Usa o in Gran Bretagna dovrebbe funzionare e in Italia no?