Il Decreto IMU Bankitalia (articoli 4 e 5) ha scatenato polemiche al limite del corto circuito istituzionale visto ch, dalla rivalutazione del capitale e dalla vendita delle quote dell’istituto centrale, le banche azioniste (es.: Intesa Sanpaolo e Unicredit) ci guadagneranno e anche tanto. Per il Governo, promotore della ricapitalizzazione (incasserà un ultra-gettito fiscale dall’operazione), però, tutto ciò comporterà un rafforzamento patrimoniale in vista di Basilea III e un vantaggio indiretto per i correntisti, perché più soldi alle banche potrebbe significare minore stretta creditizia.
Pro e contro
La posizione del Governo è sintetizzabile nelle parole della deputata Pd Alessandra Moretti: la rivalutazione non avveniva da 30 anni; il decreto individua i limiti nell’acquisto di quote azionarie di Bankitalia; si aumenta il gettito fiscale dovuto dagli azionisti; si rivitalizza il sistema del credito («per investire ci vuole il capitale»).In realtà, per molte aziende la privatizzazione e trasformazione in public company di Bankitalia suona più come uno schiaffo per le PMI in difficoltà nell’accesso al credito: «l’aumento del valore delle quote della banca centrale andava vincolato a un incremento dei prestiti a famiglie e imprese, in modo da favorire un sostegno alla crescita e alla ripresa dell’economia reale. L’impianto del decreto, invece, configura una operazione che si apre e si chiude nel recinto della finanza, avanzando ancora una volta il sospetto che le scelte legislative siano ispirate proprio in quegli ambienti». E’ la posizione di Paolo Longobardi, presidente di Unimpresa secondo cui l’intera operazione ha «il sapore della beffa per le aziende e famiglie che vedono continuamente ridursi il credito» (-66 mld di euro in un anno di finanziamenti).
I dubbi
Due interventi critici di segno opposto, con denominatore comune il guadagno delle banche, per quanto innegabilmente utile per l’economia italiana, che insegue con affanno l’agognata ripresa. Ma restano tanti interrogativi: andrà davvero così? Il rafforzamento del sistema bancario si risolverà anche in un’iniezione di liquidità nelle casse delle imprese e nelle tasche delle famiglie? E ancora: è vero o no che c’è un regalo alle banche pagato indirettamente con soldi pubblici? La risposta è nelle pieghe di un provvedimento complesso e difficile da decodificare per i non addetti i lavori.
I punti critici
1) Con la rivalutazione prevista dal Decreto (finanziata con riserve dell’istituo centrale), il capitale di Bankitalia passa dall’attuale 156mila euro a 7,5 miliardi con emissione di 300mila quote che da un valore di 0,52 passano a 25mila euro ciascuna. La Legge di Stabilità prevede per le banche azioniste un’imposta una tantum del 12% (lo Stato ci guadagnerebbe 900 milioni di euro).
2) Nessun socio potrà detenere oltre il 3% del capitale di Banca d’Italia (5% nel testo originario, poi modificato in Senato). Dunque, le banche che oggi possiedono di più dovranno mettere in vendità il surplus di quote ad altri soggetti italiani (banche, assicurazioni o altri organismi finanziari. Gli azionisti sopra il 3% sono IntesaSanpaolo (circa il 30%), Unicredit (22%), Assicurazioni Generali (6%), Cassa di Risparmio di Bologna, Inps e Banca Carige. Le altre partecipazioni (INAIL e una nutrita schiera di banche) sono sotto il 3%. Dalla vendita delle loro quote rivalutate alle stelle, guadagneranno miliardi.
3) Per favorire la corretta distribuzione del capitale, la Banca d’Italia può «acquistare temporaneamente le proprie quote di partecipazione» (tecnicamente, con soldi pubblici si finanzieranno le banche private).
4) La norma prevede comunque che gli azionisti, finchè restano sopra il 3%, per la parte eccedente non possano incassare utili (vanno alla banca centrale) e non abbiano diritti di voto in quanto Bankitalia è un organo super partes.
Il rischio IMU
In definitiva, la scelta della public company è corretta? Tutela o mette a rischio l’indipendenza dell’istituto centrale? Quali altre opzioni c’erano? Ognuno potrà dare le sue risposte, ma c’è una domanda a cui forse è più facile rispondere: che bisogno c’era di legare le sorti di un’operazione di tale importanza a un decreto legge che incorpora anche l‘abolizione del saldo IMU? Ovviamente, la magagna (rischio mancata conversione in legge del decreto in tempo utile a garantire l’abolizione) è scoppiata quando ormai i tempi erano agli sgoccioli. Per cui anche le toppe saranno raffazzonate.