Il dibattito sul salario minimo in Italia ha riportato in auge anche un tema secondario, che nel nostro Paese è già previsto dall’articolo 36 della Costituzione, la quale impone l’obbligo di retribuzione proporzionata per ogni prestazione lavorativa resa.
Ulteriori disposizioni normative, nazionali ed europee, che impongono compensi equi e congrui, nonché privi di discriminazioni di genere o di età.
Facciamo dunque chiarezza, per chi si affaccia al mondo del lavoro e si trova a dover decidere se accettare o meno una proposta di lavoro poco allettante dal punto di vista retributivo.
Lavoro e volontariato: cosa dice la legge
Prima di tutto, non esiste una forma di lavoro che possa essere compiuta senza compenso. La linea di demarcazione fra lavoro e volontariato esiste: si chiama denaro:
- il lavoratore svolge una prestazione dietro compenso, ha un contratto di subordinazione o di collaborazione col datore di lavoro e una retribuzione ben definita;
- il volontario presta la propria opera gratuitamente, come impegno più o meno civico.
Nulla vieta ad un lavoratore o professionista di svolgere la propria attività a titolo volontario, ma la legge sul volontariato del 1991 chiarisce che l’organizzazione per cui si svolge volontariato deve essere senza fini di lucro:
Per attività di volontariato deve intendersi quella prestata in modo personale, spontaneo e gratuito, tramite l’organizzazione di cui il volontario fa parte, senza fini di lucro anche indiretto ed esclusivamente per fini di solidarietà.L’attività del volontariato non può essere retribuita in alcun modo […] possono essere soltanto rimborsate dall’organizzazione di appartenenza le spese effettivamente sostenute per l’attività prestata.
Insomma, se la realtà per cui si presta la professionalità è lucrativa (es.. aziende private), allora si ha diritto ad una retribuzione e se questa non è prevista si viola la legge. Parimenti, anche gli enti pubblici sono tenuti al pagamento delle prestazioni lavorative senza eccezioni.
Casi particolari: cosa dice la Cassazione
Su questi temi anche la Cassazione (sentenza 26.01.2009 n° 1833) è intervenuta stabilendo che:
Ogni attività lavorativa è presunta a titolo oneroso salvo che si dimostri la sussistenza di una finalità di solidarietà in luogo di quella lucrativa e fermo restando che la valutazione al riguardo compiuta dal giudice del merito è incensurabile in sede di legittimità se immune da errori di diritto e da vizi logici.
Anche in questo caso la differenza la fa il fine: solidale piuttosto che lucrativo ma l’onerosità è la regola, mentre la gratuità rappresenta l’eccezione.
E lo stesso discorso vale anche nell’ambito dell’impresa familiare, dove la prestazione del coniuge o del congiunto va comunque retribuita (Sentenza 06 maggio 2016, n. 9195).