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Compensi professionali con principio di cassa

di Noemi Ricci

6 Luglio 2017 11:00

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La sentenza della Corte di Cassazione che chiarisce l'applicazione del principio di cassa ai compensi professionali.

Con l’ordinanza n. 15439/2017 la Corte di Cassazione ha chiarito quando rilevano i compensi percepiti dai professionisti, spiegando in particolare che a tali somme va applicato il principio di cassa, dunque la disponibilità della somma indicata nel titolo di credito va inquadrata al momento in cui lo stesso è ricevuto.

Il caso riguardava un professionista che aveva fatturato nel 2005 un compenso percepito a fine 2004 e pagato mediante assegno bancario reso disponibile con valuta il 10 gennaio 2005. Fatto che aveva generato un avviso di accertamento IVA ed IRPEF da parte dell’Agenzia delle Entrate.

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Inizialmente la Commissione tributaria provinciale aveva accolto il ricorso del contribuente, poi però la Commissione tributaria regionale aveva ritenuto legittima la ripresa a tassazione per l’anno 2004 ma non l’erogazione delle sanzioni in quanto il professionista aveva fatturato in buona fede il compenso e corrisposto ugualmente le imposte l’anno successivo.

Le Entrate ricorrevano così per Cassazione, secondo la quale:

“Il fatto che la dazione dell’assegno bancario sia “salvo buon fine” non impedisce di commisurare alla data della percezione del titolo la disponibilità della somma, laddove non sia in contestazione l’esistenza della provvista sufficiente al regolare pagamento del titolo”.

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Per i giudici Supremi, inoltre deve ritenersi fondato il ricorso principale dell’Amministrazione finanziaria, con il quale:

“L’Agenzia delle Entrate denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 5 del d. lgs. n. 472/1997, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., osservando come l’esclusione dell’applicazione delle sanzioni nella fattispecie in esame da parte del giudice tributario d’appello si ponga in contrasto col fondamento del regime sanzionatorio, basato sulla colpa. La statuizione della CTR, con la quale si è riconosciuta la «perfetta buona fede» del professionista, che «ha regolarmente fatturato il compenso e corrisposto le imposte dovute», è contraddetta dalla violazione da parte del contribuente del principio di cassa rispetto al disposto dell’art. 6 del d.P.R. n. 633/1972 circa la fatturazione, in relazione al quale non è configurabile alcun margine d’incertezza normativa.

D’altronde è corretta l’argomentazione dell’Amministrazione ricorrente in punto della sussistenza di una presunzione di colpa a carico di chi sia incorso nella violazione contestata, spettando quindi al contribuente l’onere di provare di avere agito senza colpa (cfr., tra le molte, Cass. sez. 5, 27 marzo 2009, n. 7502; Cass. sez. 5, 20 febbraio 2009, n. 4171; Cass. sez. 5, 25 ottobre 2006, n. 22890), onere che, alla stregua delle sopra esposte considerazioni, non può ritenersi adempiuto dal contribuente”.

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