Il Temporary Management secondo le aziende

di Maurizio Quarta

30 Dicembre 2016 09:00

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Crisi d’impresa, mobilità manageriale, rilancio della competitività e successione nelle PMI fanno crescere uno strumento che va riscuotendo sempre più interesse.

Per aiutare le imprese e manager a comprendere le dinamiche delle due componenti del mercato del Temporary Management (TM) e a conoscersi meglio, analizziamo “in due puntate” i risultati di due recenti indagini, la prima nazionale rivolta alle aziende e la seconda internazionale da poco conclusa e centrata sui Temporary Manager (TMan).

=> Temporary Management: come utilizzarlo al meglio in una PMI

Indagine sulle aziende

Risale al 1995 la prima grossa ricerca sul tema (104 aziende intervistate di cui 57 grandi, oltre a 257 manager) e da allora di TM si parla molto, anche se spesso con idee confuse sui contenuti e sull’applicazione pratica. Abbiamo pertanto chiesto alle aziende cosa ne pensino. L’indagine del 2015 è frutto di un progetto congiunto tra Leading Network e IIM-Institute of Interim Management Italy, con il supporto istituzionale di GIDP (associazione dei Direttori Risorse Umane), Manageritalia e L’Impresa.

L’indagine che ha visto ben 364 aziende rispondere al questionario predisposto da Questlab, si è concentrata:

  • sulle PMI: le aziende con fatturato inferiore a 20 milioni di euro rappresentano circa il 68% del totale, quelle con fatturato tra 20 e 50 milioni il 14%, quelle con fatturato superiore a 50 milioni il 18%.
  • sui progetti realizzati dalle aziende.

Ecco i dati più significativi.

 Conoscenza e utilizzo

Il TM è noto a circa il 70% delle aziende intervistate, con punte dell’89% tra le aziende più grandi e picchi negativi del 60% e addirittura 45% nelle classi dimensionali più piccole.
In generale si riscontra una buona conoscenza di aspetti tecnici e operativi legati agli incarichi, quali la possibilità di utilizzare fondi interprofessionali (46%) per finanziare in parte progetti di TM e voucher, in questo momento specie se legati alle tematiche di internazionalizzazione, che abbiamo visto essere una delle motivazioni principali per un progetto: in quest’ultimo caso sono ritenuti non solo utili (87%), ma addirittura importanti per l’avvio del progetto stesso (59%).

Le aziende utilizzatrici del servizio sono nel complesso cresciute, dal 10% del 1995 al 16% odierno, con le ovvie differenze legate alla dimensione dell’azienda: inesistente per le micro-aziende (sotto i 2 milioni di fatturato), la percentuale cresce al 12% nella fascia 20-50 milioni, fino a raggiungere il 33% nelle aziende più grandi. Una spiegazione di tale crescita nelle aziende più grandi, sta sicuramente nell’ effetto di imitazione di modelli manageriali già ampiamente diffusi in altre realtà economiche avanzate, che ha tra l’ altro portato all’ utilizzo del TM da parte delle filiali italiane di aziende multinazionali su iniziativa diretta della casamadre. Dal punto di vista dei Direttori HR, “una soluzione conveniente ed efficace”, secondo Paolo Citterio, Presidente di GIDP/HRDA.

Vediamo ora in quali situazioni e per quali ruoli è stato utilizzato il TM.
L’attuale crisi si riflette in pieno sull’utilizzo del TM, che nel 50% dei casi è stato in operazioni di ristrutturazione aziendale, con un’incidenza particolarmente elevata nelle fasce dimensionali medie (20-100 milioni), con punte di oltre il 65% . Significativi anche i progetti relativi all’internazionalizzazione (25% per le aziende più grandi) e al passaggio generazionale (15%) e a tematiche di delocalizzazione (33% per la classe 20-50 milioni).

Per quanto riguarda le aree di utilizzo, il maggiore interesse da parte di aziende grandi ha portato ad un incremento di ruoli di primo riporto funzionale: se infatti nel 1995, ben il 60% dei progetti riguardava ruoli di Direzione Generale, oggi tale percentuale è scesa al 14%, con punte del 33% nella classe 20-50 milioni. Per quanto riguarda le singole funzioni, prevalgono ruoli legati alle Operations (28%), alle Risorse Umane (24%) e alla finanza (20%). L’area Commerciale, gettonatissima nel 1995 con il 53%, è scesa oggi sotto il 10%.

Nelle PMI, c’è pochissimo TM su Risorse Umane e finanza: come dice Citterio,

“bisogna lavorare molto sulla cultura d’impresa per far apprezzare il valore di interventi e far superare certe ritrosie istintive da parte dei piccoli imprenditori”.

Durata incarichi

La durata iniziale stimata di un progetto dipende dall’obiettivo finale dello stesso, dalla situazione iniziale e dalle attività necessarie a raggiungere il primo: di conseguenza, qualsiasi considerazione generale sulla durata resta meramente accademica. Ciò premesso, la durata prevalentemente (oltre 40%) è quella 6-12 mesi: punte oltre il 65% si evidenziano nella classe 20-100 milioni. Significativi anche i progetti oltre i 24 mesi e quelli sotto i 6 mesi nelle aziende più grandi (25% in entrambi i casi).

Il caso di progetti “lunghi” si spiega soprattutto con il fatto che molti progetti nascono con un orizzonte di 12-18 mesi, ma hanno spesso un’opzione di continuazione a favore dell’azienda, che altrettanto spesso la esercita portando la durata effettiva ai 24 mesi rilevati; quelli molto “corti” sono legati soprattutto ad operazioni straordinarie, a loro volta legate alla preminenza delle tematiche di crisi e ristrutturazioni.

Per quanto riguarda le modalità con cui viene gestito il contratto, prevale il rapporto come free lance con partita Iva (o sua società) con il 42%, seguito a ruota dal contratto come dirigente a tempo determinato con un 23% dovuto soprattutto alla grande rilevanza tra le grandi aziende.

Risultati raggiunti

Il livello di soddisfazione delle aziende è in generale alto: positivo il parere nel 90% dei casi (di cui il 62% in area di forte positività) con un picco assoluto del 100% nelle micro aziende. Necessita invece di una seria riflessione il non basso livello di insoddisfazione nella fascia 5-20 milioni, per lo più di aziende di natura familiare, che supera il 30%.

Il dato richiede un approfondimento. Sicuramente il problema non sta nella cattiva comprensione del TM e delle sue finalità: per l’impresa familiare è soprattutto un mezzo per portare in azienda competenze di elevato profilo, altrimenti difficilmente accessibili, a costi certi e variabili. Il problema sorge invece quando si tratta di mettere in essere le condizioni “ragionevolmente ottimali” per avviare un progetto (es. le deleghe al manager o il consenso dei soci operativi). Questo perchè ci si scontra con la “pancia” dell’imprenditore, che spesso ne contraddice la “testa”. A ciò si aggiunga che le PMI sono in genere poco abituate a “comprare” manager e temporary manager in particolare.

Dall’altra parte, abbiamo riscontrato spesso la difficoltà, da parte di manager di grande esperienza e seniority, ma vissuti prevalentemente in ambiti grandi e di matrice internazionale, ad interfacciarsi con le dinamiche relazionali proprie di realtà soprattutto imprenditoriali. Non è casuale che in questa fascia di aziende i problemi maggiormente segnalati siano la difficoltà di rapporto con il vertice (42%) e il mancato raggiungimento degli obiettivi (57%). Per questa tipologia di aziende, al fai-da-te spesso praticato sarebbe forse preferibile l’accompagnamento da parte di una società specializzata, proprio per ovviare in partenza ai problemi sopra evidenziati.

In maniera del tutto consequenziale, la propensione al riutilizzo è molto alta nelle aziende medio grandi (dal 67% all’88% in quelle più grandi, co una quota di indecisi, ma nessuno contrario a nuovi progetti qualora se ne presentasse l’occasione). Diversa la situazione nelle medio-piccole, dove i NO al riutilizzo viaggiano intorno al 30%.

Aspettative

L’aspettativa più rilevante (66% con punte del 72%) è legata all’esperienza e alla professionalità di cui il temporary manager è generalmente portatore, ciò che include anche l’aspetto etico legato ai temi della riservatezza e dei comportamenti messi in atto. Di particolare rilevanza anche la conoscenza specifica dei problemi oggetto del progetto (è indispensabile averli già affrontati, magari in contesti più ampi e complessi) e la rapidità ed efficacia dell’azione, questo specie per le aziende di grandi dimensioni (con il 54%). Stranamente poco rilevante il tema flessibilità, che nel 1995 risultava uno degli elementi fondamentali.

Il TM viene ritenuto preferibile rispetto ad altre soluzioni soprattutto nei casi di crisi (57% con punte dell’80%), gestione di progetti specifici (65%, con punte dell’80% trasversale sulle varie classi dimensionali) e passaggio generazionale (47%) seguito dalle tematiche di internazionalizzazione (37%).

Per approfondimenti: www.temporary-management.com