È opinione diffusa e condivisa che l’aumento di competitività della piccola e media impresa italiana possa realizzarsi attraverso un incremento delle competenze manageriali. Una possibile soluzione è dare all’azienda una spinta al cambiamento e nuove capacità critiche attraverso lo strumento del Temporary Management, ragionevole punto di equilibrio tra bisogno di managerialità e vincoli economici e organizzativi.
Pro e Contro
I vantaggi rispetto a soluzioni più classiche sono evidenti. Assumere un dirigente permanente implica un costo, con un appesantimento dei costi fissi di lungo periodo e un forte impatto sull’equità interna, anche di tipo “relazionale” per le naturali resistenze e la possibile demotivazione del management esistente. Non va comunque trascurato il rischio che il manager, abituato a muoversi in grandi contesti, possa alla lunga non adattarsi in un ambito in tutti i sensi più ristretto. D’altra parte, la sola consulenza finalizzata alla messa a punto di una serie di meccanismi e processi operativi potrebbe non essere indicata sia per il difficile passaggio dalla definizione della soluzione alla sua reale implementazione sia per la difficoltà di trasferire competenze alle persone dell’azienda.
Quando utilizzarlo
La letteratura classifica normalmente gli interventi di TM nelle seguenti macro-categorie:
- management transitorio, in cui l’intervento è richiesto per la copertura di improvvisi e non previsti vuoti manageriali;
- gestione di progetti specifici;
- gestione di crisi aziendali vere e proprie;
- management delle competenze, ovvero necessità di introdurre in azienda, in tempi brevi e con la massima efficacia, nuovi strumenti e nuove modalità di lavoro;
- gestione del cambiamento.
Più nello specifico, un intervento di TM può essere utile nelle seguenti situazioni:
- gestire situazioni di turnaround legati a crisi tendenzialmente reversibili;
- rimettere in sesto un’azienda o una sua parte prima di procedere alla sua vendita;
- pilotare e gestire un complesso processo di cambiamento, che interessi cultura, strategia e struttura aziendale;
- avviare nuove attività, specie se all’estero (delocalizzazioni);
- gestire l’integrazione di aziende/business di recente acquisizione;
- attuare il coaching di un manager permanente;
- gestire la transizione in attesa dell’ingresso di un manager permanente;
- gestire con successo il passaggio generazionale;
- gestire un progetto mirato, ad esempio la gestione di attività di outsourcing o l’implementazione di un sistema ERP.
Esiste quindi una serie di problematiche che più di altre si presta ad essere risolta con un intervento di TM, ma il fatto che un problema si presti quasi naturalmente ad essere risolto in ottica di TM, non significa necessariamente che questo rappresenti la soluzione ideale per qualsiasi contesto aziendale. È necessario affinare ulteriormente il processo di analisi, definendo una lista dei problemi “caldi” esistenti, valutando per ciascuno di essi il costo della non soluzione (o di una soluzione tampone non ottimale) su base annua, per determinarne livello di priorità e grado di urgenza e valutare se, per ciascuno di essi, esistono soluzioni alternative.
Se esistono risorse interne disponibili, ma il problema risiede nella definizione dei processi e delle metodologie più opportune, potrebbe avere senso ricorrere ad un intervento classico di consulenza direzionale. Se sono disponibili risorse interne di livello elevato e i tempi di risoluzione del problema sono “normali”, ovvero le condizioni ambientali non richiedono di imprimere alcuna accelerazione, potrebbe essere sufficiente ricorrere ad una soluzione di management di tipo permanente.
In generale, la scarsità di risorse manageriali di elevata qualità e la non idoneità di soluzioni alternative sono buoni indicatori della opportunità di ricorrere ad un intervento di TM. Qual è però il livello di intervento più appropriato? La gestione globale dell’impresa oppure quello di gestione e ottimizzazione di una singola area funzionale critica per la crescita? Data la matrice tipicamente imprenditoriale delle Pmi e la conseguente presenza attiva dell’imprenditore stesso e, in varia misura, di altri rappresentanti del nucleo familiare, è oggettivamente difficile che sulle scelte strategiche e sulla gestione generale si accetti di delegare in maniera sostanziale la gestione ad un manager “di passaggio”. Non solo: la diffusa promiscuità di gestione tra interessi familiari e interessi dell’azienda si concilia con l’intervento di manager esterni in posizione di vertice.
Salvo i casi in cui una soluzione di TM venga generata da un’imprenditoria particolarmente illuminata o da pressioni esterne all’impresa (es. le banche nel caso di crediti a rischio o di concessione di finanziamenti oltre la norma, oppure un fondo entrante), l’interesse da parte delle Pmi sembra concentrarsi soprattutto su interventi di natura funzionale. Con il termine sempre più usato di ottimizzazione funzionale si identificano quegli interventi di TM in specifiche aree dell’azienda le cui risorse umane “chiave” hanno in genere un’elevata anzianità aziendale e, spesso cresciute con l’azienda stessa, possono mostrarsi e sentirsi inadeguate a gestire situazioni sempre più complesse, finendo col creare momenti di tensione personale e nell’organizzazione.
In queste aree particolarmente esposte alla tensione da crescita e da “raggiunto livello di incompetenza”, può rivelarsi necessario ricorrere al supporto di un manager che operi da vero e proprio coach (letteralmente: allenatore) del manager presente in azienda. In termini generali questo tipo di interventi si focalizza sui seguenti obiettivi minimi:
- razionalizzazione delle modalità di gestione di una data area funzionale;
- verifica dell’approccio esistente e introduzione nuovi approcci e nuovi metodi operativi;
- trasferimento di nuove competenze alla struttura;
- coach del manager già presente, al fine di metterlo in grado di subentrare nella piena responsabilità di gestione entro ragionevole lasso di tempo.
Perché questo tipo di operazioni abbia successo è necessario avere la massima trasparenza nei confronti del manager oggetto del coaching (messaggio: l’azienda sta investendo su di te perché ha scelto te, il TMan è qui per aiutarti) e salvaguardare la sua immagine e credibilità interna ed esterna. A tal fine il TMan potrebbe entrare come consigliere della Direzione Generale con responsabilità progettuale su certe aree. Sono varie le aree di possibile intervento legate all’aumento della complessità gestionale:
- la logistica e la gestione integrata della supply chain;
- l’espansione della capacità produttiva;
- la costruzione di una rete vendita efficace;
- l’implementazione di sistemi informatici ERP;
- l’introduzione di sistemi strutturati di gestione delle risorse umane;
- le strategie di internazionalizzazione e di delocalizzazione.
Un caso a parte è quello del ricambio generazionale in cui il TM agisce come coach nei confronti dei componenti della famiglia prescelti per gestire una data area aziendale, al fine di garantire un passaggio di consegne alla generazione successiva non traumatico e di creare e rafforzare le competenze di gestione necessarie allo sviluppo organico dell’azienda.
Aspettative e timori
Indagini svolte nei principali Paesi europei hanno evidenziato le principali motivazioni per cui le aziende ricorrono ad una soluzione di TM:
- flessibilità, forse la motivazione maggiormente ricorrente, che è possibile leggere in due modi: soprattutto come possibilità di disporre di competenze di alto livello, senza alcun appesantimento dei costi fissi di lungo periodo, ma anche come necessità di lasciare aperto il maggior numero di gradi di libertà possibile prima di definire la soluzione di lungo periodo;
- velocità nell’avviare il progetto: nella norma, in meno di due settimane è possibile far entrare il manager in azienda;
- qualità del manager e della soluzione complessiva;
- efficacia nel raggiungimento della soluzione ottimale al problema posto;
- operatività immediata, derivante dal livello di seniority dei manager impiegati e dal loro tendenziale sovradimensionamento di qualifica;
- motivazione dei manager, fortemente orientati allo specifico progetto;
- nessuna complicazione ed onere legato al termine dell’incarico;
- efficienza in termini di costi.
Tali ricerche hanno evidenziato anche le seguenti aspettative:
- spesso, l’azienda avverte l’esigenza di un servizio più che quella di un manager solo: questa esigenza viene manifestata con maggior frequenza dalle Pmi che esprimono il bisogno di essere guidate e accompagnate, in forme più o meno intense, durante tutta la vita di un progetto;
- un manager di grande esperienza che sappia anche essere un grande operativo e un realizzatore;
- un manager che sappia integrarsi operativamente con il gruppo alla guida dell’azienda, senza mai scendere ad un eccessivo livello di familiarizzazione e omologazione con lo stesso;
- direttamente legato al punto precedente: un manager intellettualmente indipendente, poco propenso alla “politica” e a fare gruppo per difendere la propria posizione o i propri interessi, e dotato di forte senso dell’obiettività;
- un manager il cui senso etico sia assolutamente fuori discussione
Aziende e imprenditori, nell’approcciarsi ad una soluzione di TM, esprimono però anche alcune forme di paura e di diffidenza, legate principalmente al tema della confidenzialità e della riservatezza. Poiché il TMan, per livello di seniority e criticità dei problemi su cui operare, viene frequentemente a contatto con informazioni e dati molto delicati e riservati, l’azienda, specie se piccola e di natura imprenditoriale, si pone il problema di un possibile utilizzo improprio di tali informazioni. Nella norma, ciò viene risolto da alcune clausole di garanzia (es. il manager si vincola a non operare per un dato periodo di tempo, direttamente o indirettamente, per aziende direttamente concorrenti dell’azienda cliente).
Una seconda paura riguarda il livello di commitment del manager, ovvero: non è che il manager mi lascia a metà progetto non appena trova un posto a lungo termine? Si tratta di un timore legato alla concezione – ormai passata – del TMan come persona impegnata su un progetto per riempire un buco durante la ricerca di un posto da dirigente tradizionale. Con opportune clausole contrattuali è abbastanza semplice proteggersi. Infine, c’è chi si pone anche la domanda: se è così bravo, perché fa il TMan? Domanda per certi versi “classica”, anch’essa legata alla vecchia concezione del TM non come professione a sé stante, ma come impiego tappabuchi.